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4 Luglio 2022IL REGISTA È MORTO A 97 ANNI
Rivoluzionò il rapporto tra opera e spettatore Da Shakespeare al “Mahabharata” una lunga carriera sempre controcorrente
Quando ad andarsene è un artista che ha fatto vedere altro e di più rispetto al consueto, che col suo lavoro ha fatto sentire motivazioni più profonde, c’è un senso di assoluta gratitudine che accompagna l’addio. È quello che merita Peter Brook, uno dei più grandi registi, innovatore del teatro, maestro di utopie vive.
Aveva 97 anni, si è spento sabato a Parigi e, come scrive Le Monde che ha dato l’annuncio, pareva a tutti che avesse nove vite e fosse eterno, proprio come la memoria delle sue avventure teatrali che hanno rivoluzionato la scena della seconda metà del 900. Capolavori come il primoAmleto del ‘55, La tempesta del ‘57,Re Lear del ‘62,Marat/ Sade di Peter Weiss, Les Paravents di Genet, The Tragedy of Carmen , il leggendario Mahabharata , The Cherry Orchard , The man who : tutti espressione di una poetica potente che si potrebbe sintetizzare così: “Il vero teatro si occupa di vita e di esseri umani, di creare per loro un’esperienza che va oltre l’ordinario, una sorpresa, così che quando la lasci senti che hai ricevuto qualcosa che prima non avevi”, come spiegò il regista nel 2013 ai giovani del Valle Occupato a Roma.
Brook era nato a Londra il 21 marzo 1925 da genitori ebrei immigrati dalla Lettonia. È un giovane ambizioso, creativo, gli piace il cinema ma è difficile entrare in quel mondo. Si avvicina al teatro e a 21 anni, nel ‘46, firma una messa in scena diLove’s labour’s lost ,e l’anno dopo Romeo e Giulietta . Shakespeare resterà l’autore di riferimento della sua vita. A 23 anni è direttore della Royal Opera House del Covent Garden, ma dura poco: troppo anticonvenzionale. È ilTito Andronicodel ‘55 per la Royal Shakespeare Company, pietra miliare delle regie shakespeariane, a segnare la sua definitiva ascesa di innovatore, con attori del calibro di Laurence Olivier,Vivien Leigh, John Gielgud. I suoi riferimenti sono gli eretici Mejerchold, Gordon Craig, Artaud, Grotowski, il Living: artisti che avevano cercato altre strade rispetto al “teatro borghese” concentrandosi sulla centralità dell’attore. Per Brook diventano riflessioni che confluiscono nel libro The empty space (Il teatro e il suo spazio ) del ‘68, ancora oggi “bibbia” per attori e registi.
Su queste premesse nel 1970 crea un “suo” Centro internazionale per la ricerca teatrale (Cirt), con Bruce Myers, Yoshi Oïda, la grande attrice Natasha Perry morta nel 2015, sua moglie e madre dei due figli, la regista teatrale Irina e il videomaker Simon. Con il Cirt, Brook attraversa anni di nomadismo creativo traFrancia, Medio Oriente, Africa, America e firma uno dei suoi più visionari lavori, Orghast, presentato nel ‘71 a Persepoli, in Iran. L’esperienza del Cirt e l’ensemble di attori approdano nel ‘74 a Parigi alle Bouffes du Nord, sala circolare dai muri sgarrupati, ancora oggi “casa” del teatro di Brook. Nascono lì i mirabili Shakespeare, Cechov e il colossale Mahabarata che debuttò a Avignone nell’85: 70 mila versi del poema indù sull’origine del mondo nella riscrittura di Jean-Claude Carrière e 9 ore di spettacolo di una semplicità esemplare da diventare poesia. Tra gli altri capolavori, Les Iks, La conferenza degli uccelli dal poeta persiano Farid Al-Din Attar, Le Costume…
Un lungo elenco, perché Brook ha lavorato fino a un paio di anni fa, lavori firmati con Marie-Hèlène Estienne, come Shakespeare resonance e
La tempesta visto a Solomeo con lo Stabile dell’Umbria che oggi lo rammenta nelle parole del direttore Nino Marino. Ma planetario è il ricordo di questo gigante. In Italia lo commemorano la Biennale di Venezia dove fu ospite fin dal ‘57 oltre che presenza alla Mostra, perché il cinema rimase un suo pallino fin dal primo film, Incontri con uomini straordinari, dal libro del filosofo Georges I. Gurdjieff, altro riferimento della sua vita. Il Festival di Spoleto e la direttrice Monique Veaute ricordano il passaggio nel 2010 diEleven and Twelve e così il Piccolo Teatro, con cui c’era una consuetudine nata con Giorgio Strehler. Tanti gli addii sui social, da Alessandro Gassmann a Nicola Piovani. Omaggiano l’artista che ha tolto tutto al teatro “per lasciare solo la relazione tra attore e spettatore”. Sembra poco, ma è tantissimo.