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di Stefano Bucci
Implacabile. Davanti a Piero della Francesca il destino si ripete ogni volta, appunto, implacabile. Sia che si tratti della Resurrezione (1458-1459, Sansepolcro, Museo Civico), della Flagellazione di Cristo (1470, Urbino, Galleria nazionale delle Marche), del doppio ritratto dei Duchi di Urbino (1465-1472, Firenze, Uffizi) o delle Storie della Vera Croce (1452-1466, Arezzo, Basilica di San Francesco) si finisce così implacabilmente conquistati dal mistero di Piero di Benedetto de’ Franceschi conosciuto come Piero della Francesca (1412 circa – 1492), dai suoi volti di contadini che potrebbero essere re, dai suoi corpi tozzi eppure pieni di fascino, dai suoi paesaggi classici eppure modernissimi.
L’implacabile mistero di Piero (un maestro assoluto diventato tale soltanto nel Novecento, grazie a Roberto Longhi, a lungo offuscato dai geni di Michelangelo, Raffaello, Leonardo) si ripete ora con la mostra, attesissima, che si apre il 20 marzo al Museo Poldi Pezzoli di Milano, anche perché per la prima volta dopo 555 anni viene ricostruito (o almeno viene ricostruito quel che resta, otto pale su quindici) il Polittico agostiniano dipinto tra il 1454 e il 1469 per l’altare maggiore della Chiesa degli Agostiniani di Borgo San Sepolcro (unico, vero «centro di gravità» di Piero).
Ideata da Alessandra Quarto, direttrice del Poldi Pezzoli, curata da Machtelt Brüggen Israëls del Rijksmuseum di Amsterdam e Nathaniel Silver dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (dove è conservato il frammento di un affresco dipinto da Piero della Francesca raffigurante Ercole), la reunion mette finalmente insieme il San Giovanni Evangelista, la Crocifissione, la Santa Monica e il San Leonardo della Frick Collection di New York; il Sant’Agostino del Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona; il San Michele Arcangelo della National Gallery di Londra; la Sant’Apollonia della National Gallery di Washington.
Oltre al San Nicola da Tolentino del Poldi Pezzoli che, in qualche modo, ha fatto da «elemento scatenante» per il progetto di una mostra che altri musei (compreso lo stesso Poldi Pezzoli) avevano già in passato cercato di realizzare: la Frick Collection nel 2003 e l’Hermitage di San Pietroburgo nel 2008 (tra i possibili luoghi in cui si troverebbe la tavola centrale del Polittico, segnalata per l’ultima volta a Marsiglia, c’è proprio la Russia).
«Non è stato facile riunire le otto tavole — racconta Alessandra Quarto —, posso dire che è stato un gioco d’incastri: sono stata a New York, quando la Frick Collection è stata spostata dalla sua storica sede, chiusa per lavori di ristrutturazione, al Met Breuer. Ho pensato che questa chiusura potesse essere un ottimo pretesto per mettere in piedi la mostra. Quando ho avuto il via libera dalla Frick per il prestito, tutto è stato più facile e in otto mesi siamo riusciti a chiudere il progetto». A fare la differenza sono state anche le indagini tecniche sostenute dalla Fondazione Bracco, main sponsor della mostra: «Abbiamo voluto dare vita a un progetto che unisce arte e scienza — spiega Diana Bracco, presidente della Fondazione, da anni corporate member del Poldi Pezzoli — per valorizzare le opere esposte grazie a una campagna di analisi diagnostiche non invasive che hanno permesso di fare scoprire le tecniche di lavoro del pittore, i materiali utilizzati, le strade per composizione, smembramento e ricostruzione del Polittico».
Gli esami (raggi X, immagini ad alta risoluzione nell’ultravioletto, microscopia, spettroscopia) hanno, ad esempio, evidenziato che Piero dovette «riusare», dipingendola, una struttura di carpenteria medievale preesistente (una sola tavola di legno di pioppo che oggi reca i segni delle traverse rimosse e che venne assottigliata), quella che Bartolomeo di Giovannino aveva in origine preparato (1468-1469) per la chiesa di San Francesco, sempre a Borgo San Sepolcro. Per questo il 29 marzo 1451 Angelo di Giovanni di Simone, che con il fratello Simone (entrambi mercanti, entrambi asinari ovvero mulattieri) aveva commissionato l’opera a Piero (all’epoca già impegnato nella realizzazione della Leggenda della Croce), aveva acquistato per 20 fiorini una cornice vecchia di vent’anni e costruita sul modello di un’opera dipinta a metà Trecento da Niccolò di Segna.
Le otto tavole superstiti (lo smembramento e la successiva dispersione avvengono alla fine del XVI secolo) in mostra al Poldi Pezzoli («La Frick Collection l’ha già chiesta per la sua riapertura» prevista per la fine del 2024) racconteranno quella che Machtelt Brüggen Israëls definisce «una mente matematica che aspirava alla creazione di uno spazio pittorico di tale rigore da poter restituire la tridimensionalità», giocando «sul contrasto tra la distesa di cielo azzurro che fa da sfondo al San Nicola, a Sant’Agostino, a San Giovanni Evangelista e a San Michele Arcangelo e i riflessi del tradizionale fondo oro dei pilastri e della predella». Ma il mistero, l’ennesimo, che avvolge il Polittico agostiniano si lega in modo particolare alla pala centrale, che risulta già dispersa alla fine del Seicento, quando i frammenti del Polittico smembrato vengono menzionati per la prima volta in casa Ducci ad Arezzo. Come tutti i misteri, anche questo è definito da una serie di tracce che le analisi diagnostiche realizzate dalla Fondazione Bracco per la mostra hanno contribuito a mettere definitivamente in evidenza, portando a escludere l’ipotesi finora più frequentata dagli studiosi, quella che lo scomparto centrale fosse occupato da una Madonna con Bambino (o in alternativa da un’Assunzione).
I gradini dipinti in verde e rosso a imitazione del porfido antico che si vedono nella parte inferiore delle pale (contigue allo scomparto) del San Michele Arcangelo e del San Giovanni Evangelista sono infatti molto utilizzati nelle Incoronazioni mentre Piero utilizza al contrario gradini di marmo bianco per la Vergine con Bambino del Polittico di Sant’Antonio (1470, Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria), della Pala di Montefeltro (1472, Milano, Pinacoteca di Brera) e della Madonna Gherardi (1475-1482, Williamstown, Massachusetts).
Altro tassello del puzzle: le pieghe di un manto in velluto cremisi broccato d’oro con al di sotto il tallone di un personaggio genuflesso alla maniera del Duca Federico della Pala di Montefeltro (in basso a destra nella tavola di San Michele) . Secondo Machtelt Brüggen Israëls, «il privilegio di questa posizione non poteva essere concesso ai committenti del Polittico, frati e mulattieri, mentre la figura inginocchiata trova una corrispondenza nella posa nelle Vergini incoronate contemporanee di Piero».
Allestita nelle due sale al piano terra del Poldi Pezzoli la mostra non ricostruirà il Polittico; preferisce piuttosto, spiega Alessandra Quarto, «valorizzare le singole tavole e le nuove scoperte». Tra queste: i frammenti delle ali blu e rosa di angeli a lato del San Michele e del San Giovanni; la conferma che nelle predelle fossero rappresentate scene della Passione e che la Santa Apollonia si trovava sul fianco sinistro del Polittico. Il progetto firmato da Italo Rota e dallo studio CRA-Carlo Ratti Associati giocherà sui toni del grigio-azzurro e «sull’idea di ricreare la luce dell’ambiente originario, quella di Sansepolcro dove il Polittico fu realizzato».
Per legare ancora di più Piero della Francesca al «suo» museo è poi nato l’Itinerario Piero che metterà a confronto i pezzi della collezione con alcuni particolari delle otto tavole: il copricapo di uno dei soldati della Crocifissione con i resti di un caschetto all’orientale (1550-1570); l’armatura di San Michele con la corazza anatomica in bronzo (IV secolo avanti Cristo); il meraviglioso piviale di Sant’Agostino con il cappuccio in lino, oro e seta disegnato da Sandro Botticelli (1490-1495); il pastorale che sempre Sant’Agostino tiene in mano con una sontuosa croce d’altare in argento dorato, argento, cristallo di rocca e rubini (1511). Altri frammenti di quel mistero implacabile chiamato Piero della Francesca.
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