La ministra Anna Maria Bernini, secondo cui il ddl permetterà di superare “l’inferno del precariato”, ha spiegato che sostituirà un sistema con “tutele bassissime”, con uno a “tutele crescenti”. Cinque nuove figure – in aggiunta al contratto di ricerca creato nel 2022 – che vedranno “diverse intensità di tutela e retribuzione” (così la ministra) a seconda dei desideri del ricercatore e della singola università, per sostituire l’attuale assegno di ricerca, contratto unico in Ue che non si configura come rapporto di lavoro. Ma la ministra fa confusione di proposito: l’assegno di ricerca era stato abolito nel 2022, sostituito appunto dal contratto di ricerca, normale tempo determinato, con contributi e diritti. Solo che l’applicazione dell’assegno di ricerca è stata prorogata di sei mesi in sei mesi, fino al 31 dicembre 2024: sia perché i dipartimenti non erano pronti a utilizzare il nuovo contratto (che costa, a parità di salario per il ricercatore, quasi il doppio all’istituto), sia perché la contrattazione tra i sindacati e l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale della Pa) si è incagliata, perché Aran non ha avuto indicazioni dal ministero su come condurre la trattativa. “Il contratto di ricerca potrà continuare a essere applicato”, ha ribadito più volte la ministra ieri. Certo, solo che le cinque nuove figure create lo renderanno pressoché inutile. Due di queste figure, le borse per assistenti di ricerca junior e senior, reintroducono il sistema delle borse appunto, non contratti di lavoro. Poi ci sono i nuovi contratti di collaborazione per studenti, che permetteranno di pagare (poco) gli studenti per aiutare i docenti nella ricerca. La quarta figura è quella del contratto post-doc, identico al contratto di ricerca creato nel 2022, ma più breve, da 1 a 3 anni. E poi c’è la figura del professore aggiunto, un nuovo docente a tempo che potrà contrattare con l’università il suo salario e la durata del contratto, stipulato però “su proposta formulata al consiglio di amministrazione dal rettore, previo parere del senato accademico”.
Oltre alla proliferazione delle figure, che disarticolerà la possibilità per i ricercatori italiani di andare verso una stabilizzazione (relativa) della loro situazione come accade in altri Paesi Ue, la sorpresa del ddl – che ora dovrà vedere una discussione parlamentare ma, giura Bernini, anche tavoli di confronto con le parti con cui ha parlato “la scorsa settimana” – è la reintroduzione delle chiamate dirette per i ricercatori, ma anche per i professori aggiunti. “Altro che valorizzazione del merito e competenze, si cancellano le valutazioni comparative (i concorsi), ritornando a forme di assistentato di baronale memoria che non si vedono più da oltre 40 anni”, è il giudizio a caldo della Flc Cgil, che nota come una chiamata diretta dal centro, da Cda e rettore, e non dal dipartimento, come quella per i nuovi professori aggiunti, non si sia mai vista.
Il tutto mentre si prepara un taglio di 500 milioni al Fondo di finanziamento ordinario, mascherato, nella conferenza stampa di ieri, con l’annuncio che 50 milioni saranno “liberati” dai vincoli preesistenti per favorire la gestione autonoma dei vari atenei. Insomma, avrete meno soldi, ma potrete usarli come vi pare con libertà di utilizzare tutte le figure precarie che preferite. Il ddl d’agosto si prepara a lasciare il segno.