alessandro barbera
ROMA
«L’ Italia ha chiesto e ottenuto la disponibilità ad alcune modifiche, non altro al momento». La reazione di un alto funzionario della Commissione europea alla decisione italiana di rinegoziare la quarta rata del Recovery Plan è laconica. La ragione di tanta cautela è nei tempi burocratici degli uffici di Bruxelles, che ora avranno bisogno di un paio di mesi per valutare i documenti. E poiché di mezzo ci sono le vacanze estive, è più probabile che ne impieghi tre. A quel punto il dossier dovrà passare dal Consiglio, che si prenderà un altro mese: nella migliore delle ipotesi l’Italia avrà i fondi della prima delle due rate di quest’anno a Natale. Se così non fosse, il Tesoro sarà costretto a reperire sul mercato ciò che dall’Europa non arriverà. Sulla carta si tratta di 34 miliardi, ma poiché la parte di fondi a debito erano già acquisiti nelle stime di finanza pubblica, le emissioni potrebbero limitarsi alle quote a fondo perduto del Recovery, circa dieci miliardi.
Molte alternative il governo non ne aveva. La mail della svolta sul Recovery Plan è delle 22.46 di lunedì. Oggetto: «Convocazione della cabina di regia». Giorgia Meloni e Raffaele Fitto prendono la decisione dopo l’ennesimo viaggio a Bruxelles del ministro degli Affari comunitari e il tentativo di mettere ordine a un piano troppo grande per essere rivoluzionato. Fitto aveva promesso una revisione complessiva del Pnrr italiano entro l’estate, e invece si limita a chiedere di ritoccare la quarta rata, quella scaduta il 30 giugno. È una delle meno impegnative di tutto il Piano, ma dentro ci sono alcuni obiettivi impossibili da raggiungere al cento per cento. Due quelli degni di nota: quello per la costruzione dei nuovi posti negli asili nido – 265mila entro il 2025 – e le 6.500 colonnine per la ricarica elettrica delle auto, parte anche in questo caso di un progetto che prevede di arrivare a fine piano a ventunomila.
Con il passare delle settimane Fitto e la struttura di missione costituita a Palazzo Chigi fanno i conti con una realtà sempre più complessa. Il Pnrr è un’auto in corsa, e fermarla è pressoché impossibile. Fitto vorrebbe sfrondare gli interventi minori, ridisegnare tutta la programmazione dei fondi ordinari di coesione delle Regioni, spostare al 2029 molte scadenze che diversamente andrebbero rispettare entro giugno 2026. E però ogni tentativo di cambiare sta andando a sbattere contro la determinazione di sindaci, governatori e ministri a non perdere un solo euro conquistato sulla carta. Di qui la decisione, concordata con Meloni, di adottare una più prudente strategia dei piccoli passi.
Il documento che Fitto ha consegnato ieri ai giornalisti segue l’ultima telefonata con i tecnici di Bruxelles e il commissario Paolo Gentiloni. Fitto sottolinea i ritardi accumulati prima del suo arrivo. Sugli asili, ad esempio, materia che riguarda direttamente i sindaci: «La selezione dei progetti doveva concludersi a marzo 2022 ma i bandi sono stati riaperti più volte e la graduatoria definitiva è stata approvata a ottobre 2022». Quel che il documento non racconta è che i funzionari della Commissione arrivati a Roma nelle scorse settimane hanno fatto obiezioni sulla gran parte dei piani di ampliamento dei nidi esistenti.
La decisione del ministro di procedere con la revisione in assenza di Meloni – a Vilnius per il vertice Nato – è frutto di un pressing costante di Gentiloni, che lo avverte più volte del rischio concreto di non ottenere nemmeno un euro delle due rate 2023 entro dicembre. L’emergenza è tale da costringere la maggioranza a compattarsi. Salvini, il collega con cui Fitto si scontra più spesso, fa sapere di avere «fiducia nel suo lavoro». La nuova strategia di Palazzo Chigi passa dalla necessità di sfruttare al meglio il piano esistente. Lo testimoniano un paio di fatti. Il primo: la riunione convocata dal sottosegretario (e fedelissimo di Meloni) Giovanbattista Fazzolari, in cui chiede ai capi di gabinetto di dare priorità ai progetti a sostegno di imprese e famiglie. Il secondo: la decisione – formalizzata nella nota ai giornalisti – di spingere su misure di spesa automatiche come gli incentivi edilizi. Fino al 31 agosto il governo ha tempo per proporre una revisione larga del Piano, ma con il passare delle settimane sembra prevalere la realpolitik. Entro fine anno ci sono da raggiungere altri 69 obiettivi, e si riproporrà il dilemma di luglio.
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