Luca Monticelli
Tre indizi fanno una prova: il governo vuole rinunciare ai piccoli progetti del Pnrr per concentrare le risorse e gli impegni sulle priorità e le grandi opere che spingono la crescita. Prima era stato il ministro Guido Crosetto a riconoscere che il «sistema Italia non è in grado di mettere a terra tutti i progetti». Poi fu Gilberto Pichetto, sempre a questo giornale, a dire che «bisogna essere realistici e a qualcosa occorre rinunciare». Ieri è stata la volta di Raffaele Fitto, il responsabile del piano: «Non si può continuare ad avere decine di piccoli progetti che ci fanno perdere completamente il senso di quello di cui ci occupiamo. Inseguire il piccolo progetto ci fa uscire dai radar del contesto», ha sottolineato alla conferenza organizzata a Sorrento da The European House Ambrosetti.
«È fondamentale – aggiunge il ministro – coordinare il piano con scadenza giugno 2026 con le politiche di coesione che hanno la rendicontazione a dicembre 2029, e con loro i fondi nazionali, che non hanno termine. La connessione di questi tre piani può generare una visione comune e stabilire un cronoprogramma che accompagni la realizzazione delle opere».
Ma quali sono questi piccoli progetti destinati ad essere scartati dal governo? Impossibile districarsi nel mare magnum del Regis, la piattaforma su cui gli enti beneficiari dei finanziamenti caricano i dati relativi agli investimenti. La Corte dei Conti ha censito 134 mila progetti per un importo complessivo di oltre 120 miliardi di euro.
Più difficile convincere i sindaci dei piccoli Comuni a rinunciare ai mini interventi del Pnrr o trattare con la Commissione europea? «Sono due facce della stessa medaglia», risponde Fitto. «Con la Commissione europea ho da sempre attivato un dialogo e una collaborazione positiva». Meno positiva sembra la collaborazione con le Regioni che ancora aspettano la ripartizione dei fondi della coesione, risorse bloccate in attesa della proposta di revisione che l’esecutivo presenterà a Bruxelles nelle prossime settimane. Il ministro ha incontrato i governatori giovedì: «Un vertice positivo, le polemiche sono strumentali, si alza un polverone per non parlare del merito», attacca riferendosi alle critiche di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, presidenti rispettivamente di Puglia e Campania. «Tutte le Regioni saranno convocate singolarmente per una valutazione sullo stato dell’arte della spesa del periodo 2014-2020», ribadisce Fitto.
De Luca però torna ad attaccare il governo: «Abbiamo fatto due domande al ministro Fitto: quando riunisce il Cipes per formalizzare la distribuzione dei fondi per lo sviluppo e la coesione e a quanto ammontano queste risorse. Come al solito Fitto non ha risposto. Lui ha l’immagine del seminarista, di un prete spretato, ma fa tutto meno che una cosa concreta». Secondo il governatore della Campania le giustificazioni di Fitto «sono sempre una manfrina, perché chi spende meno non sono le Regioni ma i ministeri che utilizzano al massimo dal 20 al 30% dei fondi. Potevamo aver già cominciato gare e appalti e invece ci fanno perdere un anno in riunioni».
Intanto, mentre l’Italia aspetta il giudizio della Commissione europea sulla terza rata del Pnrr (“siamo in attesa di avere una valutazione – ricorda Fitto – i contatti sono costanti e quotidiani), slitta anche quello di Moody’s, che nelle settimane scorse aveva lasciato trapelare l’ipotesi di un clamoroso declassamento del debito pubblico italiano a “spazzatura”. Nella tarda serata di ieri l’agenzia ha comunicato di aver rinviato la decisione.