Il complesso militar-cinematografico
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ROMA – Vero che da questa tornata elettorale Giuseppe Conte e i suoi ‘grillini’ escono con le ossa rotte; come Matteo Salvini e il suo progetto di Lega nazionale ormai finita nel cassetto dei ricordi. Comprensibile la gioia di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia che aumentano di numero (e di voti) da Nord a Sud, conquistano la leadership del Centrodestra pensionando nonno Berlusconi. Si può capire, anche se meno, la gioia di Enrico Letta perché il Pd risulta il primo partito in Italia. Dato importante che lascia l’amaro in bocca quando si va a guardare la quotazione: poco più del 21 per cento, un punto virgola qualcosa in più dal disastro elettorale (meno del 19%) lasciato dall’ex leader Matteo Renzi. Da ricordare il voto del 4 marzo 2018, con la realtà che si rivela peggiore di qualsiasi sondaggio svolto poco prima: il PD scende sotto il 19% e raccoglie poco più di 6 milioni di voti, ben 4 milioni e mezzo in meno del Movimento 5 Stelle e 5 milioni in meno rispetto alle Europee 2014.
Ecco, visto che ormai è di nuovo partita la campagna elettorale in vista delle politiche del 2023 vorrei per un attimo soffermarmi su un dato che ai leader politici sembra importare poco: metà popolo, in gran parte quello che sta ai margini della società, se ne resta a casa e non vota. L’altra metà che si reca alle urne è quella che sta meglio, nonostante tutto partecipa. Ma il trend va sempre più in direzione dell’astensione, di qui la domanda: che democrazia è quella che si regge sul voto di una minoranza che elegge una minoranza che poi si autoproclama rappresentante della maggioranza?
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Uno studioso di cose politiche la imposterebbe sicuramente in maniera più articolata e profonda, mi scuso in anticipo se sono rimasto terra terra. Non è solo un problema di pigrizia, della partita di calcio o della voglia di andarsene al mare con la famiglia o gli amici. A mio parere c’è qualcosa di più grave, è sempre più evidente la mancanza di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti politici. Democrazia e partiti politici hanno bisogno di fiducia. Non è vero che i cittadini non comprendano che gli uomini politici possano sbagliare, commettere reati, arrivando alla fine anche a perdonarli. Quello che li allontana e li rende menefreghisti è la sensazione di essere truffati da politici che promettono tanto e realizzano poco e niente. Qui sta la peggiore delle malattie che può uccidere una democrazia, con una massa di delusi e sfiduciati che aprono la via ad autocrati come Putin, che decidono da soli di invadere un paese libero e considerano le regole democratiche inutile orpello della decadenza Occidentale.
Può aiutarci, per capire i rischi che abbiamo davanti, Carlo Rosselli e la sua idea di socialismo liberale, quando parlando del fenomeno fascista, che per i marxisti classici era una reazione di classe, soltanto la borghesia che ricorre alla violenza per bloccare l’ascesa proletaria, lo inquadrava così: “…Col solo interesse di classe il fascismo non si spiega. Faziosità, spirito di avventura, idealismo piccolo borghese, retorica nazionalista… Senza questi motivi il fascismo non sarebbe stato… Il fascismo va innestato nel sottosuolo italico, e allora si vede che esso esprime vizi profondi, debolezze latenti, miserie del nostro popolo, di tutto il nostro popolo. La forza bruta da sola non trionfa mai. Quando trionfa e perché ha toccato sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era sensibile. Il fascismo in un certo senso è la rappresentazione plastica di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell’unanimità che sogna il trionfo della facilità…”.
Da quanto è accaduto in passato, e che sta accadendo ancora oggi nei regimi totalitari, bisogna imparare e correre ai ripari. Per questo tocca proprio al Pd di Letta e a Fdi della giovane leader Meloni (che spiace però vedere in un video a sostegno della destra spagnola quasi in preda a deliri del passato), le forze politiche attorno alle quali si riorganizzerà la lotta tra schieramenti, lavorare per rafforzare la nostra democrazia ricreando fiducia, ricucendo e avvicinando i cittadini alla battaglia e all’interesse per la politica.
I partiti non devono servire a se stessi né trasformarsi in agenzie di collocamento. Devono tornare ad organizzare, dare forma allo sforzo collettivo che spinge per cambiare la società. La democrazia rappresentativa, acciaccata, è comunque il sistema migliore che abbiamo ma richiede partiti politici forti, collettivi e non avventure personali che bramano fette di potere. Tocca a Letta e Meloni affermare l’importanza di avere forze politiche organizzate, pasta collettiva di idee di chi con passione si mette al servizio della comunità. Facendo attenzione a rimarcare la netta distinzione tra partito e governo del Paese: il partito deve pensare al domani, ad immaginare come la società potrà migliorare, le strategie e la formazione delle nuove generazioni, mentre il Governo pensa all’amministrazione dell’oggi. Quando si confondono il partito diventa, lo abbiamo sotto gli occhi, una causa di persone che lottano per una poltrona alle spalle dei cittadini.
Quando una società non crede più in nulla cade nel nichilismo, in un personale sempre più egoista. Come ho sentito dire al grande José ‘Pepe’ Mujica: “Abbiamo il diritto di combattere per la nostra felicità perché la vita scorre via e non possiamo andare a comprarcela in un supermercato. Non potete cambiare la durezza del mondo ma potete cambiare la vostra condotta“.