Stefano Boeri svela in anteprima il tema della ventiquattresima Esposizione di Triennale Milano che si terrà nel 2025 Un’indagine sulle diseguaglianze degli spazi urbani di domani
Dopo Broken Nature: Design Takeson Human Survivale Unknown Unknowns , mostre che affrontavano il problema del rapporto città e natura, tra la sfera umana e quella naturale, la XXIV Esposizione internazionale della TriennaleMilano nel2025tornerà a occuparsi della sfera delle relazioni tra gli esseri umani, dello sviluppo urbano, dei servizi, del rapporto tra spazi fisici e comportamenti delle persone.Ne parliamo in ante prima con Stefano Boeri, presidente della istituzione milanese. Architetto, urbanista, teorico dell’architettura, docente universitario, Boeri ha indirizzato il lavoro espositivo della Triennale verso temi di frontiera di grande attualità chiamando a occuparsene personalità multidisciplinari di livello internazionale.
Di cosa si occuperà la nuova Esposizione cui parteciperanno organismi culturali di tutto il mondo?
«Lo spunto nasce dal titolo del libro di un intellettuale, Bernardo Secchi, con cui ho studiato: La città dei ricchi e la città dei poveri .È stato un economista, poi si è occupato di pianificazione ambientale e di urbanistica. Il calco fisico delle città, diceva Secchi, è in grado di filtrare i comportamenti sociali. Ci sono fenomeni in cui la forma fisica resta identica, altri in cui invece si modifica la ricchezza; ad esempio, un quartiere abitato dalla piccola borghesia diventa un quartiere abitato da una comunità di migranti a basso reddito. E ci sono anche processi contrari, in cui zone in cui avviene una gentrification .Sono idee che Patrick Geddes, un biologo e un urbanista, aveva esposto in uno studio importante del 1970: Città in evoluzione (il Saggiatore). Le città sono degli organismi che assorbono trasformazioni sociali con una propria inerzia, quella che esercita lo spazio fisico, tuttavia ne vengono condizionate. Churchill dopo i bombardamenti di Londra disse alla Camera dei Lord:“Daremo forma ai nostri edifici e nel frattempo loro daranno forma a noi”. Il tema è capire oggi come la questione delle classi sociali, delle differenze, delle diseguaglianze, del capitale finanziario e del capitale culturale, tutto questo sistema di variabili, si manifesta nelle città. Per città s’intendono tutte le aggregazioni umane con una popolazione di almeno 500mila abitanti».
Analizzerete le attuali, le città
concrete, o delineerete una città ideale del futuro?
«Il tema della Esposizione è quello di essere un dispositivo d’indagine. Dove stanno oggi le differenze, dove stanno oggi le diseguaglianze? Il concetto di povertà e ricchezza è come quello di centro e periferia, un concetto fragile, ma se lo usi in modo esplorativo diventa interessante. Chiederemo ai paesi partecipanti — africani, asiatici, sud americani ma anche del Nord America — di riflettere sul concetto di classi sociali nelle città nella loro dimensione urbanistica».
La città è semplicemente un collettore di queste situazioni?
«Due pensatori della sociologia, Pierre Bourdieu e Robert D.Putnam, ci hanno aiutato a capire come funziona la città. Putnam, ad esempio, ha lavorato sul concetto di “capitale sociale” che ha due forme: un “capitale di legame” e un “capitale di scambio”.
Una comunità ha bisogno di legami perché deve costruirsi una sua identità. Qualsiasi gruppo, rete di famiglie o comunità, quando vive in una città deve sentire la propria identità, condividerla. Ma c’è anche il capitale sociale ponte, quello che ti permette di scambiare con altre comunità, e in questo produce un processo di empatia, per cui devi metterti negli occhi degli altri. Questo arricchisce la tua identità. Se manca il “capitale di legame” si perde anche il senso di appartenenza, l’identità, le radici, e se non c’è il “capitale di scambio” non c’è nessuna crescita.
Bisogna capire come una città esistente possa favorire l’intensità di relazione, a livello di quartiere, a livello di vicinato. Dove hai segregazione, che sia verso il basso o che sia verso l’alto, hai povertà di capitale sociale. Anche i ghetti ricchi che si trovano in Brianza, o in alcune zone diMilano, sono poveri, mentre esistono quartieri che hanno mantenuto questi due tipi di capitale sociale».
Questi sono i temi della “città diffusa” di cui lei si è occupato in “L’anticittà” (Laterza). Quali sono i territori oggi in crisi da questo punto di vista?
«Tutto l’ urban sprawl in Europa. Se ci riferiamo all’Italia è il sistema che si trova intorno alle grandi città. Per Milano:le zone versoComo e Varese; per Napoli il territorio verso Caserta.
La città diffusa va in crisi perché non c’è più l’idea della identità come comunità, esiste una frammentazione assoluta: le palazzine e le villette, dove si vive in solitudine tra eguali. Non c’è scambio spesso non ci sono neppure i luoghi per farlo. Questa è l’anticittà, è uno dei territori italiani che andrà più in crisi».
Crede che la televisione abbia contribuito a questo?
«Il fenomeno della diffusione urbana si accompagna alla grande diffusione della televisione commerciale in Italia, uno stile di vita che si basava sulla grande mobilità nel territorio dei membri della famiglia, con il centro commerciale dove ritrovarsi e alla sera tutti davanti all’apparecchio televisivo. È stata una scelta culturale, uno stile di vita. Lo sprawl urbano avviene in quegli anni, anni Ottanta e inizio Novanta. Poi va in crisi per un problema di sicurezza. Bernardo Secchi sosteneva che questo fenomeno di sprawl era legato a una scelta politica ed economica: mentre in alcuni paesi ai conflitti sociali degli anni Sessanta gli stati hanno dato una risposta con il welfare, in Italia si sono distribuiti soldi alle famiglie, facilitando la proprietà privata; l’ha fattola Democrazia Cristiana in una situazione di totale confusione urbanistica con un grande abusivismo. L’Italia è stata trasfigurata da milioni e milioni di villette e palazzine, capannoni, centri commerciali. Questo ha prodotto una situazione di povertà, non economica, ma sul piano culturale e sociale.Anche sul piano elettorale questo ha cominciato a manifestarsi subito dopo in modo evidente».
Quale è la ricetta per risolvere questi nodi che si sono creati?
«L’idea della Esposizione è quella di non dare ricette, ma di portare dei casi, tenendo conto che tutta questa fenomenologia avviene a livello di spazi, come aveva indicato Giancarlo De Carlo. Si tratta di problemi che dipendono da fenomeni che ci prescindono. Il primo è il cambiamento climatico:entro il 2050 ci saranno 250 milioni di rifugiati climatici. Jeremy Williams in Climate Changeis Racist (Icon Books) sostiene che il cambiamento climatico è profondamente razzista, perché viene determinato dai paesi ricchi, e perché ha effetti maggiori, non solo sui paesi poveri, ma sui poveri dei paesi ricchi.
Una delle questioni fondamentali è: cosa devono fare le città del Nord del mondo per affrontare questo tema?Ci sarà una emigrazione molto superiore rispetto a quella attuale. Tutte le città europee dovranno cambiare, dovremo attrezzarci per costruire spazi di accoglienza. Costruiremo delle favelas o useremo gli spazi abbandonati, oppure dovremo costruire nuovi quartieri? Sono problemi enormi che riguardano tutta l’Europa, il Nord America, le città asiatiche e quelle del Golfo: là dove c’è acqua, cibo e lavoro».
E il tema dell’Intelligenza Artificiale di cui si parla oggi?
«Si tratta di un altro fattore dirompente.Avrà effetti sul mercato del lavoro, sulla mobilità sociale, sull’istruzione. Sono queste le due grandi onde della contemporaneità: emergenza ambientale eI A. Sono due aspetti irreversibili. Mark Solms, psicoanalista, autore diLa fonte nascosta. Viaggio all’origine della coscienza (Adelphi) sostiene che l’intelligenza artificiale creerà una coscienza artificiale: sarà in grado di costituire una coscienza non solo sul piano meccanico ma anche emotivo.
Cambiamento climatico e IA sono due fenomeni prodotti dalla specie umana e le città inevitabilmente muteranno: nel modo di abitare, di andare a scuola, di lavorare. Ci dobbiamo preparare a questo».
TUCA VIEIRA