di Viola Ardone
La bellezza salverà la scuola. Bellezza di aule, bellezza di palestre, bellezza di laboratori, bellezza di cortili e bellezza di ore, le più formative della giovinezza, trascorse in un posto pensato per accogliere e non per respingere. Perché la “malascuola” è anche la brutta scuola.
Quella che nasce in edifici che erano stati costruiti per tutt’altro scopo, sono stati riconvertiti in un momento di emergenza ma resteranno per sempre inadatti; quella che nasce bella ma poi con gli anni diventa cadente, triste e sciatta, privata di manutenzione e di cure, come una pianta un tempo in rigoglio ma ormai sfiorita; e ancora quella che è stata costruita senza tener conto del fatto che alunni e docenti tra quei corridoi ci trascorrono gran parte delle loro giornate per lavorare e imparare, mica per scontare una pena.
Una punizione
La bruttezza delle nostre scuole è quasi punitiva, come se indirettamente volesse trasmettere il messaggio che stare al mondo è fatica, imparare è tortura e lavorare è travaglio.
Le scuole, invece, dovrebbero essere i posti più belli del nostro Paese, ci dovrebbero arrivare i turisti per visitarle come se fossero musei, templi del sapere. Le dovrebbero affidare agli artisti, oltre che agli architetti, dovrebbero essere esposizioni permanenti del meglio che abbiamo.
I ragazzi, invece, di far buca a lezione farebbero a gara per trascorrerci più tempo possibile. Sia quelli che al mattino si muovono da case calde, accoglienti, dotate di tutti i confort e non capiscono perché sono condannati a passare sei ore al giorno al freddo e nella scomodità. Ma ancor di più quelli che al mattino non escono da case calde e accoglienti e che avrebbero più di tutti il diritto di essere ricevuti nella bellezza, nel decoro, nel lusso.
Sì: la scuola dovrebbe essere il vero lusso che un Paese sviluppato possa concedersi. Dal Sud al Nord, senza alcuna differenziazione. E dovrebbe investirci tutte le risorse possibili, soldi dello Stato e non oboli di privati: la scuola deve rimanere “cosa pubblica”.
In fila
Altro che dispersione scolastica! Gli alunni di ogni ordine e grado farebbero la fila per entrare ogni giorno in una scuola a cinque stelle. Perché chi vive nella bellezza crea bellezza, chi sta nel decoro diventa una persona decorosa, e, in una scuola in cui tutto funziona e niente manca, passa anche la voglia di sporcare le pareti con la biro o scassare la spalliera della sedia.
Le scuole dovrebbero essere tutte belle, ma le più belle dovrebbero sorgere nelle periferie, spesso cattedrali di bruttezza, monumenti al degrado. Dovrebbe essere, la scuola, il bel rifugio in cui iniziare a immaginare un mondo diverso, per poterlo poi realizzare più simile possibile ai propri sogni.
Perché il vero paradosso è che la scuola insegna la bellezza, ma solo in teoria: una bella pagina di letteratura, un bel dipinto in arte, un bel disegno tecnico, la meraviglia di un esperimento di chimica che mette a nudo la perfezione dei meccanismi della materia.
Ma poi nella pratica ci suggerisce di accontentarci, di imparare a fare a meno della lavagna digitale oggi, della carta igienica in bagno domani, del riscaldamento dopodomani. E così via, in una lunga e penosa via crucis di mancanze a cui tutti ormai sono abituati e a cui si reagisce con un’alzata di spalle. Vabbè, ci diciamo anche noi docenti, mica si può avere tutto. È la scuola pubblica, bellezza, e nessuno può farci niente.
E invece no. Non c’è solo la buona scuola, c’è anche la bella scuola. Questo deve aver pensato quella famiglia finlandese che recentemente ha lasciato la Sicilia perché delusa dal nostro sistema scolastico. Il vostro paese ci piace, hanno detto in sintesi, ma la vostra scuola no, e sono andati via.
Il sogno
Noi non possiamo andare via e la bella scuola continuiamo a sognarla, come un’utopia di palingenesi della società da cui tutto dovrebbe dipanarsi per dare avvio a un nuovo corso in cui finalmente l’istruzione sarà il pilastro.
I giovani, il futuro, la cultura, le opportunità. Sono state le parole d’ordine durante il Covid. Poi è passata l’emergenza, e la scuola è tornata ad annaspare tra i problemi di sempre.
Classi affollate, fondi insufficienti, personale scarso e sottopagato, programmi antiquati e metodologie superate. Strutture che, se non sono pericolose, sono quanto meno inadeguate alle necessità degli studenti e, se permettete, anche dei docenti.
Ma imparare è un lavoro difficile e per farlo bisogna stare comodi. La scuola deve poter insegnare la bellezza ospitando gli alunni nella bellezza. Insegnare il rispetto rispettando le esigenze di chi è lì per apprendere e per lavorare. Deve offrire palestre per allenarsi, laboratori attrezzati per esercitarsi, spazi mensa per ristorarsi, auditorium per ascoltarsi, aule studio per confrontarsi, biblioteche per informarsi, cortili per ricrearsi.
Le barriere
Certo, investire sul digitale è importante, ma lo è ancora di più fornire agli studenti banchi e sedie comodi, strumenti musicali, reagenti e provette, tele e colori, vocabolari, lavagne e soprattutto libri, libri per tutti. Eliminare le barriere architettoniche e immaginare spazi e strumenti adatti a supportare ogni tipo di disabilità.
Educare a una scuola brutta invece significa educare alla rassegnazione, alle cose che non cambieranno mai. Adattarsi a stare in spazi stretti significa, in fondo, restringere lo spazio dei pensieri, l’orizzonte dei desideri.