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di Marco Cinque
Il pomeriggio del 25 luglio il Papa incontrerà finalmente i rappresentanti delle popolazioni indigene delle First Nations, per chiedere scusa alle famiglie dei bambini indigeni vittime di assimilazione forzata nelle Residential School religiose. Non sappiamo se queste scuse si limiteranno a un intento retorico e auto assolutorio oppure se ci sarà la volontà concreta di rispondere alle richieste scomode già poste a papa Ratzinger da dodici anziani del Consiglio, in rappresentanza delle nazioni Cree, Haida, Metis, Squamish e Anishinabe. Sappiamo solo che chiedere pubblicamente scusa, come già fatto in questi anni dai governi canadesi che si sono succeduti, è il minimo che si possa fare per una vergogna di tali proporzioni. E sappiamo pure che i risarcimenti stanziati per le famiglie delle vittime sono stati rifiutati in molti casi, vuoi per principio e vuoi per dignità, perché certi crimini non hanno un prezzo che possa risarcirne l’orrore.
NELLE STESSE ORE della visita papale, verrà trasmesso il reportage Purgatorio Canada, di Raffaele Manco e Irene Sicurella (in onda lunedì 25 luglio alle 23,15 su Rai3) che ripercorre proprio la tragedia dei 150mila bambini nativi del Canada internati nelle 118 scuole religiose, attive fino al 1998, la maggior parte delle quali dipendeva direttamente dalla Santa Sede. Quegli istituti in realtà erano dei veri lager istituzionali che, grazie a una serie di leggi razziali, praticarono impunemente un metodico genocidio durato un secolo, e dove almeno 50mila piccoli indigeni, dopo essere stati abusati in ogni modo, hanno perso la vita.
Un genocidio che nessuno ha mai voluto vedere e tanto meno denunciare. Da qui la definizione di “purgatorio”, perché di un inferno almeno conosci i nomi dei dannati e i loro eventuali peccati, mentre delle innocenti vittime indigene delle Residential School canadesi si doveva sapere poco o nulla. Negli ultimi anni migliaia di corpi di bambini sono riemersi da parecchie fosse comuni, ma nonostante questo la maggior parte delle loro spoglie non verranno mai alla luce perché date in pasto ai maiali, piombate in fondo a fiumi e laghi canadesi o cremate nei forni degli istituti religiosi. La cosa più crudele è che spesso si utilizzavano gli stessi bambini indigeni per sbarazzarsi dei corpi dei loro coetanei.
SARÀ COMUNQUE impossibile un conteggio documentato delle vittime, dato che, da una parte, tra il 1936 e il 1944 il governo canadese fece distruggere tonnellate di documenti cartacei relativi alle scuole residenziali, mentre dall’altra i registri degli istituti religiosi, sempre che esistano ancora, probabilmente non usciranno mai dagli impenetrabili archivi vaticani.
Fa una certa impressione pensare che molti di questi crimini accadevano nei medesimi anni in cui nei forni crematori nazisti ci finivano ebrei, zingari, dissidenti e omosessuali. Ma se i criminali del nazismo oggi hanno il posto che meritano nella storia, quelli che invece hanno compiuto crimini altrettanto orrendi in Canada non vengono nemmeno messi davanti alle loro responsabilità. Tra loro figurano rappresentanti di vertici politici, religiosi e militari che hanno causato quest’immane tragedia e che ci hanno persino lucrato sopra, come già diverse volte denunciato sulle pagine di questo giornale, dal 2010 ad oggi.
TRISTE È ANCHE il ruolo avuto dai media. Tutti erano a conoscenza della tragedia e delle sue enormi proporzioni, ma nessuno si è mai curato di aprire questo vaso di Pandora, perché forse avrebbe dato fastidio a troppi rappresentanti delle istituzioni o forse perché, più miseramente, avrebbe venduto poco in termini di audience: a chi vuoi che importi di bambini ammazzati negli istituti religiosi, se questi sono indigeni, quindi di rango inferiore nel nostro immaginario collettivo occidentale? E chi si azzarda a scrivere una riga di denuncia verso un paese che ancora prevede, come nella British Columbia, leggi razziali che permettono di sterilizzare donne indigene, che entrano negli ospedali per partorire e ne escono con le tube legate?
IL DOCUMENTARIO di Manco e Sicurella è inserito in un format in onda su Rai3, dal titolo Il Fattore Umano, che prevede una serie di reportage giornalistici sulla violazione dei diritti umani nel mondo. Il regista del reportage, Raffaele Manco, commenta: «L’estate scorsa col ritrovamento dei corpi dei bambini in Canada ho deciso che avrei voluto realizzare un documentario che non solo raccontasse la vicenda delle Residential School, ma anche di come queste hanno avuto impatto sulla vita dei nativi oggi: poche possibilità di sviluppo, niente lavoro, difficoltà a intessere relazioni sociali, depressione, dipendenze, suicidi. Sul falso mito del Canada che ha fama di essere uno tra i primi paesi che rispetta i Diritti dell’Uomo, quando invece ha attuato e continua ancora oggi ad attuare un genocidio silenzioso. Ciò che più mi impressiona è che gli stessi mezzi di informazione non abbiano mai dato risalto a queste vicende e come quelli dei nativi (così come di altre etnie) vengano considerati diritti umani di serie b o c, non degni dell’attenzione mediatica. Abbiamo cercato di raccontare le storie che sono sempre ai margini. Troppo ai margini».
ANCHE LA GIORNALISTA Irene Sicurella, che ha collaborato con Manco alla realizzazione di Purgatorio Canada, da questa esperienza ha maturato alcune considerazioni: «Tutte le persone che abbiamo incontrato nel nostro viaggio sono state generosissime con noi. Ci eravamo incontrati solo per qualche ora su Zoom e quando siamo arrivati in Canada, nelle loro case, nelle loro vite, ci hanno offerto nient’altro che verità. Hanno vissuto i traumi più enormi che si possano immaginare e ora li stanno gridando al mondo perché finalmente qualcuno ascolti. Se devo pensare al senso di questo documentario, vorrei che fosse al servizio di questo. Di solito associamo il genocidio dei nativi americani agli Stati Uniti e invece gli stessi orrori sono successi anche in Canada. Questo viaggio mi ha dato la possibilità di riflettere molto su cosa siano i poteri coloniali, molteplici, intrecciati e sistemici, e di quanto non siano residuali. Il documentario non parla di eventi isolati e fermi nella storia, ma del Canada di oggi. Le ferite che questo sistema infligge solcano il tempo e le generazioni».
NEL DOCUMENTARIO, tra le tante testimonianze, c’è quella di Harvey McLeod, un sopravvissuto della Kamloops Indian Residential School: «La prima volta ero in classe, il prete è arrivato e mi ha chiamato: “Harvey McLeod, vieni con me”. Pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato, pensavo che avrei ricevuto di nuovo delle cinghiate. Ma non era una cinghia. Quella mattina sono stato stuprato. E poi la seconda volta che è successo, è successo di nuovo, la stessa cosa. Quindi la terza volta che è venuto a chiamarmi, sapevo esattamente cosa sarebbe successo. In questa scuola sono stato abusato sessualmente 17 volte».
POI HARVEY ha aggiunto – «Stavamo facendo una cerimonia qui con una nostra amica e a un certo punto ho notato che non c’era più. Siamo andati a cercarla e l’abbiamo trovata, era giù al fiume. Mi ha chiesto se da dove dormivo la notte potevo vedere il fiume. Le ho risposto che no, non lo vedevo. Lei mi ha detto: sono felice che tu non lo vedessi, perché io ero una di quelle che seppellivano i bambini. Ero una delle ragazze che dovevano portare i bambini al fiume e seppellirli lungo la riva».