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11 Aprile 2023Una rettifica (e altro)
Vedo che per uno spiacevole disguido l’articolo “Il progetto urbano” che inizia a p.4 del numero della “Voce del Campo” del 16 marzo scorso è stato attribuito a me, Roberto Barzanti, quando invece si tratta di un ampio contributo alla discussione sul futuro urbanistico della città scritto da Pierluigi Piccini tratto dal suo blog. Prego quindi di pubblicare con la dovuta evidenza questa rettifica.
Giacché mi son messo al computer per inviare queste righe di rettifica, ne approfitto per condensare in breve qualche valutazione a margine di un testo interessante e impegnato. E dico subito che concordo nella sostanza con le linee generali esposte, con alcune delle indicazioni di prospettiva che ne possono scaturire e soprattutto con la scansione del ragionamento che ripercorre nel loro insieme tematiche attuali da tempo. Diffusa è la consapevolezza che viviamo una fase di transizione dagli esiti non prevedibili e tanto meno programmabili con precisione scientifica. Per non andare avanti alla cieca, a suon di fumosi annunci, è indispensabile – richiamo che ho più volte sottolineato – avere una visione della città, e una concezione delle sue relazioni con il territorio di immediata pertinenza commisurate ad una vasta area metropolitana . È la “città reale” di cui si parlò anni fa o la “Grande Siena” all’ordine del giorno, almeno concettualmente, non da oggi. Lo Schema Metropolitano dell’Area Senese (S.M.A.S., 2005), che comprendeva Siena e i cinque comuni della “prima cintura”, conteneva analisi e direttrici in grado di orientare il miglioramento della qualità raggiunta e di lavorare per un Piano strutturale che superasse scompensi, dispersioni, fratture. Non sto qui a riassumere gli obiettivi ambiziosi che venivano posti. Era giusto ed è giusto – ci si può chiedere – usare il termine “metropolitana” assimilando i problemi di Siena con quelli propri delle condensazioni insediative definite metropoli? Se si hanno presenti immagini classiche e si prendono per buoni parametri solo quantitativi, no di certo. Ma in questo caso metropolitano stava – sta – a significare, mi sembra, una parte di territorio che, pur rarefatto quanto a residenza, ha sedi e poli di vario carattere da mettere in relazione tra loro proprio per evitare, nell’erogazione dei servizi e nella loro fruizione, nei modi dell’abitare e del lavorare, scarti e squilibri non più accettabili. Se a lungo Siena è stata percepita come una città-città dominante e separata, almeno dagli anni Settanta del secolo scorso (!) è balzato in primo piano il tema dell’intercomunalità , declinato in differenti formule, mai però stabilizzate fino al punto di favorire un condiviso e autorevole governo. La crisi dalle molte sfaccettature in corso impone che si reimposti efficacemente la questione: è la premessa per individuare i punti nodali di un’agenda che tutto chiede fuorché improvvisazione o episodicità. Incontestabili sono i valori simbolici storicamente acquisiti dal centro antico di Siena, ma la quotidianità del vivere preme per rimodellare il rapporto spazio-tempo e non solo. Massimo Cacciari si è chiesto se i laceranti fenomeni cui assistiamo segnino la fine di ogni “forma” comunitaria o si risolvano in “un processo di liberazione dai vincoli che la caratterizzavano”. “È uno scatenamento degli ‘spiriti animali’ del sistema- si è domandato –, oppure proprio esso fa segno ad un intelletto generale capace di ‘riprendere il terreno’ in forme diverse dal passato, libero da ogni fisso, terraneo radicamento?” E ha aggiunto: “In altri termini il territorio post-metropolitano è la negazione di ogni possibilità di luogo oppure potranno ‘inventarsi’ luoghi propri del tempo in cui la loro vitalità sembra essere negata?” Il fatto è che non abitiamo più città – egli conclude – , ma territori. Evidentemente Cacciari ha di fronte casi diversi dalle tante condizioni di centri toscani, dove la tenuta di una dimensione urbana è tuttora percepibile e operante, ma le trasformazioni all’orizzonte interessano anche chi ora non ne è toccato incisivamente. La nuove tecnologie mutano il rapporto spazio-tempo. E anche le periferie dolci – se così è lecito dire –, i paesi o i nuclei “interni” meno popolosi non accettano più gerarchie e marginalità. In termini banali: occorre superare la separazione tra l’eccellenza storica urbana e l’ambiente circostante, concependo uno spazio integrato da governare unitariamente, come un organismo contrassegnato da una sua solida coerenza e pertanto aperto senza diffidenza alle scelte di scala provinciale e regionale. Qualsiasi discorso sulla città che non muova da questa consapevolezza è debole. Non si governa Siena chiudendosi dentro Siena. E’ stato approvato un Piano Operativo più preoccupato di rabberciare e liberalizzare che di inserire le norme in una visione, appunto, generale. Ora si tratta di elaborare un nuovo Piano strutturale, che non potrà certo essere definito prima delle imminenti elezioni. Quindi una valida politica urbanistica – se questo nome riacquisterà peso e senso – non deve esaurirsi nell’elencazione di una serie di rimedi o di interventi, magari utili, ma non derivati da una visione d’insieme. La visione da cui muovere, del resto, è incentrata su priorità già individuate e capaci di innescare una “rigenerazione” effettiva. Se questa “rigenerazione” non è ripetuta come un astratto e rassicurante leit-motiv, al pari della “sostenibilità”, è l’ora davvero di dibattere con franchezza non tanto un progetto quanto una serie di progetti che, combinati, attivino energie e collaborazioni, offrano sedi di formazione e sbocchi di lavoro, accrescano la capacità di scambi e di attrazione internazionali e via dicendo. L’inclusività ha da essere la preoccupazione maggiore. E Siena non è svantaggiata o sorda al riguardo. Il patrimonio di beni artistici e l’ambiente storicizzato con le loro varie risorse sono ricchezza da tutelare e gestire prospettando una modernizzazione “prudente”. Si insiste spesso sulla cultura – sulle culture si dovrebbe dire – come priorità . La Fondazione Santa Maria della Scala e i musei dell’Acropoli e gli altri della Fondazione Musei Senesi sono una rete eccezionale per dar corpo a una logica di sistema costituendo gradualmente quella “infrastruttura culturale” delineata, ad esempio, da John Bingham-Hall in un convegno dal titolo pregnante: “Città, sostantivo plurale”. E si badi che, quando si scrive “cultura” non si usa la parola per esaltare l’eredità artistica del passato o la costellazione di musei e monumenti pur importantissima, ma una disposizione che riguarda ogni aspetto del progettare. “Pensare in questo modo ampio – ha scritto il citato direttore del centro di ricerca multidisciplinare Theatrum Mundi – amplia automaticamente la definizione di cultura oltre la pratica artistica professionale, oltre le industrie creative, e pone la responsabilità su un diritto politico di vivere in un ambiente che fornisca gli spazi e gli strumenti per realizzare cose e idee, piuttosto che semplicemente incontrarle e riceverle”. Anche il turismo non può essere regolato e assicurato con improvvisazioni incidentali. Occorre selezionare e sostenere le permanenze di qualità – intelligenti e fruttuose – che non si esauriscano in effimero consumismo o in rapinoso transito. Si deve parlare di varie modalità di turismo, da conciliare e sostenere con mezzi specifici. Gli edifici o le aree da riconvertire non devono esser preda facile per alberghi di lusso o esposizioni miserevoli. L’edilizia sociale merita un’attenzione accresciuta. La “cura” della città non è uno slogan. “Una città bella – leggo la sintesi di uno studio recente –, se assumiamo il concetto di bellezza superandone i limiti puro-visibilistici, è prima di tutto un luogo dove si vive bene, sano, in grado di favorire stili di vita virtuosi che possano permettere al maggior numero di persone la piena realizzazione del proprio progetto biologico e di trascorrere la loro esistenza con pienezza e soddisfazione, a lungo e in buona salute. Rendere di nuovo le città vivibili e attraenti significa mettere in atto strategie capaci di lavorare, dal micro al macro, sull’innalzamento della qualità urbana, sulla performatività dello spazio urbano, sulla sua capacità di educare gli abitanti e incoraggiare stili di vita sani e virtuosi, sulla possibilità di dare accesso a tutti alle straordinarie opportunità che la città può offrire”.
Le rendite ereditate devono avere limiti d’uso che aumentino abitabilità e vitalità. La componente commerciale non può essere schiacciata da interventi massicci della grande distribuzione che marginalizzino quanti – ora pochi – intendano far leva sulla prossimità di produzioni peculiari da offrire e esaltare. Le Università devono essere riferimenti costanti per assicurare rigore, internazionalità , conoscenza. Nei programmi elettorali si chiarisca in primo luogo ciò che il Comune potrà fare in prima persona e ciò che si propone di sollecitare. Promettere mari e monti non serve. Mi fermo qui per non rivangare problemi affrontati più volte.
La città e i valori di cui è portatrice permettono – esigono – di guardare al futuro senza abbandonarsi a scoramento o scetticismo, anche se la babelica frammentazione in corso non è in sintonia con le difficoltà del momento, né contribuisce a creare il clima per un leale e chiaro confronto sui contenuti. La forma che Siena è riuscita a conservare deve essere aggiornata e rafforzata con i progetti che è possibile imbastire o organizzare. È restrittivo immaginare che questo sforzo collettivo abbia quale stadio di partenza “un piano della città murata – ha schematizzato in un intervento ricco di spunti Alessandro Masi – che, a cerchi concentrici, poi rigeneri i quartieri e il territorio” ed è fuorviante immaginare “che l’esistente può essere una vera e propria area di espansione, di qualità in quanto piace, perché contiene il codice genetico della comunità”. La politica buona si fa con la partecipazione critica, da subito, di tutti: cittadini, residenti e ospiti transistori, studenti e immigrati. Una diffusa calibrata qualità urbana è il traguardo da prefiggersi con una convinzione finora mancata.
Roberto Barzanti