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Corpi dalle curve perfette, bicipiti palestrati, bocche sensuali e ciglia lunghissime (come quelle di Marilyn), interni domestici stracolmi di buone cose di pessimo gusto simbolo di una modernità impellente: all’apparenza il sogno americano messo in scena da Tom Wesselmann, protagonista della grande mostra che si inaugura il 17 ottobre alla Fondation Louis Vuitton di Parigi (mostra che ricorda anche i vent’anni dalla morte avvenuta il 17 dicembre 2004) sembra un sogno perfetto, la rappresentazione ideale dell’American Dream.
Dietro questa estetica dilatata, coloratissima, affollata più di oggetti che di esseri umani, si nasconde però un universo oscuro, il mistero della quotidianità, il fascino dell’ambiguità, il sottile gioco di una seduzione tanto esplicita quanto (a suo modo) infantile. Ma non solo: rifiutando la passività tipica del nudo più classico, lo sguardo frontale della modella di Wesselmann sembra sfidare lo sguardo maschile, mentre quei corpi perfetti ridotti molto spesso a semplici sagome decostruiscono «dall’interno» gli stessi stereotipi di bellezza, razza e genere utilizzati dall’artista. Scardinando, infine, anche ogni possibile accusa di superficialità, Wesselmann (che amava ripetere: «La pittura, il sesso e l’umorismo sono le cose più importanti della mia vita») includeva riproduzioni di opere di altri artisti (Mondrian, Matisse) nelle sue nature morte, anche per dimostrare che l’arte, un tempo così lontana dalla vita quotidiana, si era unita al mondo commerciale.
Occupando per intero gli spazi della Fondation (che con Wesselmann festeggia i dieci anni di attività) la mostra partirà da Wesselmann per raccontare l’universo della Pop Art, uno dei principali movimenti artistici degli anni Sessanta. Nelle intenzioni dei curatori (Dieter Buchhart e Anna Karina Hofbauer) Pop Forever, Tom Wesselmann &… non sarà una semplice celebrazione del lavoro di Wesselmann ma «lo contestualizzerà all’interno della storia dell’arte, offrendo prospettive affascinanti sulla Pop Art, passato, presente e anche futuro» attraverso una selezione di 150 opere (soprattutto dipinti) di Wesselmann affiancati da 70 lavori di 35 artisti di diverse generazioni e nazionalità che con lui hanno condiviso o condividono una sensibilità comune per il Pop, dalle sue radici dadaiste alle sue manifestazioni contemporanee, dagli anni Venti a oggi. Un elenco sorprendente che, tra gli altri, comprende Ai Weiwei, Njideka Akunyili Crosby, Evelyne Axell, Thomas Bayrle, Marcel Duchamp, Jasper Johns, Kaws, Jeff Koons, Yayoi Kusama, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Meret Oppenheim, Eduardo Paolozzi, Mickalene Thomas, Andy Warhol…
In un allestimento quasi teatrale, la mostra celebra le geniali intuizioni di Standing Still Lifes, monumentali nature morte ispirate ai cartelloni che l’artista recuperava dalle società pubblicitarie, e la sensualità esasperata della serie dedicata alla bocca, con o senza sigaretta, iniziata negli anni Sessanta (immensi dipinti su tele sagomate, labbra rosse lucide che ricordano un frame cinematografico o una pubblicità). In primo piano c’è anche quel realismo esagerato ottenuto grazie all’uso dell’olio che permetteva a Wesselmann contorni più definiti e sfumature più complesse rispetto all’acrilico così di moda in quegli anni.
Il sogno americano che Wesselmann fa in qualche modo implodere si gioca nei luoghi della più perfetta vita quotidiana made in Usa (camere da letto, cucine, bagni, spiagge). I suoi dipinti sono pieni di accessori di uso quotidiano (telefoni, occhiali da sole, sigarette) e di segni legati a una concezione di bellezza e felicità propria di una certa epoca (rossetto, unghie smaltate, segni di abbronzatura). I suoi soggetti rimandano costantemente all’idea di consumo, alla pubblicità, alla televisione, al cinema. E poi la donna: motivo centrale, se non ossessivo, nell’ispirazione di Wesselmann fin dai primi collage e dai Great American Nudes del 1961. «La sua onnipresenza — spiegano i curatori a “la Lettura” — riflette la grande ondata di liberazione sessuale dell’epoca. La donna è allo stesso tempo celebrata e reificata: oggetto, la donna appare anche come soggetto liberato. I contorni negativi delle donne definiscono il formato di alcuni dipinti; le tele sagomate e ritagliate diventano frammenti feticizzati: bocca, seno, piede, gamba. Occupando il campo pittorico, rimangono senza volto, uno stereotipo tra gli altri, come gli hamburger, la Coca-Cola, la 7Up, il pane a fette e utensili vari».
Il Pop di Wesselmann — celebrazione di una quotidianità banale e accettata (ma anche criticata) — rappresenta una nuova e personalissima forma di realismo, un’arte che si può prestare a letture e interpretazioni diverse e contrastanti. Nel film Il mistero di Bellavista di e con Luciano De Crescenzo (1985), ad esempio, Saverio il netturbino e Salvatore il vice sostituto portiere, visitando una mostra di arte moderna rimangono allibiti nel vedere una stanza da bagno proprio di Wesselmann, con wc incluso, spacciata per opera d’arte; chiedono quindi l’autorevole opinione del dotto professore (De Crescenzo) che, citando Protagora, spiega loro che l’arte è un qualcosa di sostanzialmente soggettivo. Ma Salvatore non è convinto e, spinto da una saggia e geniale ignoranza, e memore della recente scoperta da parte di un muratore di un dipinto di Luca Giordano nel corso di alcuni lavori, pone il dilemma qui riassunto: in situazione analoga, se un muratore nel 3000 trovasse in uno scavo un wc come quello della mostra, cosa penserebbe d’aver trovato: un capolavoro dell’arte o un cesso scassato? Un dubbio che avrebbe probabilmente divertito lo stesso Wesselmann.
Da Sotheby’s New York, durante la Contemporary Evening Auction del 14 maggio 2008, Great American Nude No. 48 aveva raggiunto un prezzo stellare per il mercato dell’artista, 10,7 milioni di dollari: nella Top Three di Wesselmann troviamo Smoker #9 del 1973 venduto per 6,8 milioni di dollari nello stesso mese di maggio 2008 a New York, ma da Christie’s, e Smoker #17 del 1975, battuto per 5,9 milioni di a Sotheby’s New York nel 2007 (ma la mostra parigina potrebbe anche far cambiare questa classifica).
Sono tutte opere che raccontano un erotismo esplicito, almeno in apparenza, anche se il pittore ha sempre negato qualsiasi intenzione di sfruttare l’erotismo nei suoi nudi. Per l’artista, l’erotismo era uno strumento per realizzare un nuovo tipo di estetica, senza ricorrere alla fisicità gestuale della precedente generazione di pittori. «Dal momento che non potevo più usare la pennellata espressionista astratta, ho dovuto trovare altri modi per rendere la composizione aggressiva», sosteneva Wesselmann. Cercando nuove strade negli anni Novanta, spinto come sempre dal desiderio di innovare, Wesselmann sviluppa opere astratte ritagliate e/o dipinte su metallo (alluminio e acciaio), scarabocchi originali che riportano alla sua prima passione per gli espressionisti astratti, in particolare Willem de Kooning. Nonostante un’ironia che i curatori definiscono ancora «dadaista», Wesselmann non sarà mai un iconoclasta, e molte sue citazioni proverranno sempre dalla pittura classica moderna, in particolare da Henri Matisse. Dipingendo principalmente ritratti, nudi, paesaggi e nature morte, Wesselmann resterà fedele alla tradizione dei generi artistici e alla pittura come mezzo tradizionale, poiché l’integrazione degli oggetti «non è per lui altro che una strategia per estendere il suo dominio attraverso il colore».
Ma il desiderio di novità, la passione per «altre strade» da percorrere caratterizzerà sempre il lavoro dell’artista nato il 23 febbraio 1931 a Cincinnati, Ohio, ma che dagli anni Cinquanta aveva scelto di studiare, vivere e lavorare a New York. Sebbene ammirasse l’impatto visivo dei pittori astratti americani, abbraccerà il vocabolario iconografico del suo tempo incorporando pubblicità, cartellonistica, immagini e oggetti nel suo lavoro; perseguendo in modo consapevole i generi classici della pittura (natura morta, nudo, paesaggio); ampliando gli orizzonti della sua arte, sia in termini di soggetto che di tecnica: a metà tra pittura e scultura si trovano opere come Flowers (1993) che incorporano anche elementi multimediali (luce, movimento, suono, video), mentre le sue enormi e spettacolari Standing Still Lifes si collocano per i curatori «al crocevia tra pittura e installazione, introducendo un formato fino ad allora inedito».
La Pop Art ha celebrato con una certa ambiguità il connubio tra arte e cultura popolare, tra musei e gallerie e l’industria culturale. Senza manifesto e senza confini, la Pop Art ha comunque definito un’estetica viva e presente ancora oggi. Wesselmann più che dell’estetica Pop appare il simbolo dell’atmosfera intellettuale-creativa di quegli anni. Per questo la mostra parigina, che occuperà i quattro piani della Foundation progettata da Frank Gehry, sarà collegata cronologicamente alle opere e ai temi di Wesselmann, utilizzerà il lavoro dell’artista come punto di partenza per sviluppare una presentazione più generale della Pop Art. I suoi Great American Nudes saranno in dialogo con le icone americane dei suoi contemporanei (Evelyne Axell, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Marisol, Marjorie Strider, Andy Warhol). Le radici dadaiste della Pop Art (Marcel Duchamp, Kurt Schwitters) saranno giustamente «trasformate» nei precursori dei suoi grandi collage. Le sue rappresentazioni dei beni di consumo anticiperanno le rappresentazioni delle merci nell’era della globalizzazione di Jeff Koons o Ai Weiwei. I suoi nudi e le scene intime domestiche apriranno la strada alla nuova generazione di Derrick Adams, Tomokazu Matsuyama, Mickalene Thomas. Che, proprio per rendere omaggio alla lezione di Tom Wesselmann, porteranno alla Fondation Louis Vuitton una sequenza di opere create per l’occasione.
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