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Il mistero di Adolescence e i figli che vogliono essere come i padri. E’ difficile guardare la verità che hai davanti
di Annalena Benini
How fragile we are. Alla fine della seconda puntata di Adolescence si alza il coro dei bambini della scuola su Fragile di Sting, si alza la macchina da presa e poi si abbassa sul parcheggio in cui è stata uccisa Katie Leonard, tredici anni, a coltellate, e arriva sul volto del padre di Jamie, che ha tredici anni ed è accusato dell’omicidio di Katie. Un volto trasformato dal dolore, un figlio nel centro di detenzione in attesa di processo, una ragazzina di tredici anni che non c’è più e non ci sarà mai più, tanti mazzi di fiori per terra in quell’angolo di parcheggio che poche sere prima era buio ma sorvegliato da una telecamera.
Quanto siamo fragili, canta Sting e cantano i bambini del coro della scuola, poi una voce femminile si alza sopra le altre, una voce piccola e sola. E’ una scena che resta negli occhi, e dopo qualche giorno ho letto che la voce piccola e sola è dell’attrice che interpreta Katie, la ragazzina che non tornerà mai più. Se Adolescence non fosse diventata un caso internazionale, un capolavoro dicono molti, una noia mortale dice qualcuno, niente di speciale dice chi esercita lo scetticismo, forse non avrei notato questo dettaglio che aggiunge altro turbamento al grande turbamento, cinematografico ed emotivo, di una serie in quattro puntate da un’ora, in cui ogni puntata è sorprendente: ogni ora è un racconto compiuto che ti porta dove non credevi di poter arrivare, non in quel modo, non da quel punto di vista. Ma il titolo di ciascuna puntata potrebbe essere: how fragile we are.
Alla fine di un’ora passata in un unico piano sequenza in una scuola spaventosa, per violenza verbale, fisica, per solitudine e per inadeguatezza dei professori e anche della polizia che indaga sulla morte di Katie, alla fine di quell’ora ansiogena e senza speranza, si alza la voce piccola e sola di Katie che dice quanto siamo tutti fragili. Fragili e incapaci, fragili e soli, fragili e difficili da maneggiare, ascoltare, capire. Fragili davanti alla verità, desiderosi solo di trovarne un’altra, anche falsa non importa. Fragili e capaci di concentrarci molto sulle stronzate ma non sulla sostanza.
Alla fine di quella seconda puntata abbiamo tutte le chiavi di accesso, solo che siamo fragili e ancora non lo sappiamo. Mi scuso perché sto scrivendo in un modo strano, a metà tra l’implicito e l’esplicito, so che moltissime persone hanno già visto
Adolescence e sanno tutto, ma è una serie uscita su Netflix da poche settimane, e dopo l’enorme serie di articoli usciti su tutti i giornali e dopo i reel di Instagram (una mia amica, la stessa che mi ha spinto a vederla, mi ha scritto: non ne posso più di Adolescence e non ne ho visto neanche un secondo), molti avranno appena deciso che la vedranno questo weekend. Oppure mai. Cerco di non dire troppo, ma ho bisogno di dire molto, perché naturalmente non è in gioco soltanto l’opera cinematografica, il piano sequenza, la bravura degli attori (uno di loro è anche l’ideatore e sceneggiatore della serie), la bellezza dei dialoghi, non è in gioco soltanto l’originalità di un’opera che chissà se, mentre veniva immaginata e costruita, aveva l’ambizione di entrare nelle vite e nelle conversazioni di tutti.
Mi chiedo sempre, quando arriva il capolavoro, se ci sia la consapevolezza interiore del capolavoro appena nato, se ci sia un luccichio intorno e dentro, o se invece serva che il capolavoro entri da una porta speciale, benevolente, per essere riconosciuto, e che incontri per primi gli occhi giusti e i bisogni giusti, mi chiedo sempre, in particolare per Adolescence, se qualcuno abbia detto, prima: no, non può funzionare così. La storia del cinema e della letteratura è piena di queste storie appassionanti.
Ma torno all’impatto di Adolescence sulle nostre vite di genitori e figli, vite di adulti (non necessariamente genitori) e di adolescenti. Ho notato che gli adolescenti dopo la visione sono meno turbati di noi adulti (vorrei mettere adulti tra virgolette con spirito polemico, non lo faccio perché non ho simpatia per le virgolette), gli adolescenti dicono: noi di queste cose parliamo sempre, noi lo sappiamo, comunque è ok che tutto questo sia diventata una cosa bella da vedere. Poi escono o si chiudono in camera e continuano le loro vite segrete di cui noi non capiamo nulla.
Anche noi adulti di queste cose parliamo sempre, ma la differenza è che non lo sappiamo. Quindi adesso ne parliamo ancora di più, e intanto continuiamo le nostre vite segrete di cui non capiamo nulla.
In questa serie scritta da due uomini, la verità è sotto gli occhi di tutti gli uomini, ma solo le donne riescono a guardarla. In questa serie tutti i maschi adolescenti inseguono l’approvazione e cercano di aderire al modello di virilità offerto dai loro padri, con i quali non riescono a parlare e per i quali sono un mistero, anche se i padri non vogliono davvero infilarsi dentro questo mistero. I padri cercano di fare del loro meglio e di essere gentili, diversi dai loro padri, ma sempre succede qualcosa che non sanno maneggiare e che gli fa spaccare una porta o una bicicletta o un capanno; hanno braccia muscolose, muscolose in un modo esagerato, e le mogli regalano loro delle magliette aderenti che mettono in mostra quei muscoli, le mogli cercano di calmarli quando spaccano qualcosa, quando vogliono lavare via la vernice con acqua e sapone e non è possibile che ci riescano, le donne cercano di farli ragionare ma assecondandoli, cercano insomma di portarli alla comprensione della verità senza mai farli scontrare con la loro incapacità. Cercano di rallegrarli, perfino, anche dentro la più totale disperazione, ricordando i bei tempi spensierati in cui la loro virilità era irresistibile e divertente. Forse anzi questi uomini sono ancora laggiù.
Gli uomini adulti di questa storia sono principalmente due: il poliziotto che ha arrestato Jamie alle sei di mattina in casa sua (Jamie un bambino spaventato ancora a letto con l’orsacchiotto, Jamie invoca suo padre), e il padre di Jamie che continua a dire: hanno sfasciato la porta di casa, ci devono risarcire. Jamie, dalla prima inquadratura all’ultima non farà che cercare suo padre, chiamare papà, chiedere di suo padre, preoccuparsi per suo padre, telefonare a suo padre, cercare l’abbraccio di suo padre, piangere per suo padre, gridare piangendo: di’ a papà che sto bene. Di sua madre dirà: lei fa l’arrosto. Sua madre è scontata, sua madre può perfino capire, sua madre lo amerà comunque, ma suo padre? Quanto è insopportabile la delusione di suo padre?
Jamie ha tredici anni e sta male, rovescia le sedie e urla addosso alla psicologa, una giovane donna che lo sta portando, con le domande e con la decisione di non assecondarlo, a dire la verità (la terza puntata è un dialogo continuo fra il bambino e la psicologa, e anche lì c’è la chiave di tutta la verità, ma quanto siamo fragili se non vogliamo vederla). Jamie è un bambino che si fa la pipì addosso per la paura e che vorrebbe piacere alla psicologa, vorrebbe che la psicologa gli dicesse: non è vero che sei brutto. Jamie è un adolescente che vorrebbe essere popolare a scuola e non è popolare a scuola. Non è nemmeno bravo negli sport, e suo padre si vergognava quando andava a vederlo giocare a calcio, in porta. Jamie ha chiesto a una ragazza di uscire, confidando nella sua debolezza sociale, e quella ragazza gli ha risposto: non sono così disperata. Suo padre era popolare a scuola, anche il poliziotto muscoloso era popolare a scuola, avevano fortuna con le ragazze e con gli amici, fortuna alle feste, una piccola fortuna nel costruire una famiglia della working class con lo scettro del capo, lavorando molto, sentendosi al posto giusto e nel ruolo giusto.
I loro figli non sono così, i loro figli sono diversi e sono il mistero:
I bambini del coro della scuola, una scena che resta negli occhi. La voce sola è dell’attrice che interpreta Katie, la ragazzina che non tornerà mai più
Jamieha13anniestamale,rovescia le sedie e urla addosso alla psicologa che lo sta portando, con la decisione di non assecondarlo, a dire la verità Il padre è a disagio con il figlio, mentreèasuoagioconilragazzinoche gli chiede: lei alla mia età era popolare, vero? Quanto siamo ridicoli Quattro donne che hanno la capacità di fare i conti con la verità, di usciredallorocentroesbilanciarsiverso l’altro. La prontezza di andare avanti
Il figlio del poliziotto investigatore si chiama Adam e i compagni gli mettono la spazzatura nel piatto della mensa e fanno il verso del maiale in classe per prenderlo in giro. Il padre non l’aveva capito, non l’aveva visto, e non capisce neanche adesso che vede e non capisce quello che suo figlio gli sta dicendo in un’aula vuota della sua scuola: il figlio va a cercare il padre per dargli la chiave della verità e il padre non la sa ascoltare, non sa mettersi in relazione con questa verità e con il fatto che gliela stia dando suo figlio. E’ impacciato, sospettoso, ridicolo. E’ a disagio con suo figlio, mentre è a suo agio con il ragazzino che gli chiede: lei alla mia età era popolare, vero? Quanto siamo ridicoli, quanto siamo fragili.
I due creatori di Adolescence hanno dato ai quattro personaggi femminili: la madre di Jamie, la sorella di Jamie, la poliziotta, la psicologa, la capacità di sopportare la verità. Di capirla prima degli altri (la poliziotta vuole andarsene da quella scuola dove tutti parlano del possibile assassino e nessuno parla della ragazzina uccisa, tutti cercano il movente e comunque nemmeno il movente la riporterà in vita. Quella voce piccola e sola che canta: how fragile we are). Ma queste donne hanno anche la capacità di arrivare alla verità a poco a poco e di farci i conti: la madre e la sorella di Jamie vengono travolte dall’arresto e dal processo allo stesso modo del padre, al quale viene anche chiesto di fare da garante per il figlio, e che quindi assiste agli interrogatori, alle ispezioni, e che vede tutto quello che le due donne non vedono. Ma dodici mesi dopo l’arresto, il padre è ancora al punto di partenza, inferocito, stupito, imbarazzato, in silenzio al telefono con suo figlio, mentre le due donne hanno fatto un cammino e sono pronte ad andare avanti. Pronte ad aiutare, anche, a occuparsi del suo umore e del suo compleanno. Riescono a uscire dal loro centro e a sbilanciarsi verso l’altro: riescono a mettersi in relazione. In un dialogo indimenticabile sul letto della loro stanza al piano di sopra (le casette inglesi dove c’è la scala appena si entra in casa), il marito muscoloso e affranto dice a sua moglie, che piange: se ci fossi stata tu con lui sarebbe andata meglio. Se lei avesse fatto da garante, se lei avesse ascoltato, se lei avesse visto.
E’ vero, ma lei gli dice: non è vero amore. Lo dice per salvarlo, lo dice per salvare tutti, anche suo figlio. Quanto siamo fragili.