Sbandierata con le fanfare, alla fine la nuova stretta penale e securitaria è arrivata con un tempismo perfetto. Sull’onda dell’osceno omicidio di Giogiò Cutolo, il governo ha cavalcato l’indignazione e lo sconcerto dell’opinione pubblica per cambiare lo spartito sul leggio. Se fino a ieri era l’emergenza povertà, il salario medio italiano che negli ultimi 30 anni è andato indietro invece che avanti (meno 488 dollari dal 1991: lo dice uno studio di Ambrosetti, non Rifondazione comunista), i milioni di cittadini del Sud lasciati senza reddito di cittadinanza e anche senza lavoro, la frenata dell’economia italiana, il Pnrr che arranca e i contratti che non vengono rinnovati, oggi ci svegliamo nel mondo di Giorgia. Dove tutto va bene, a parte i giornalisti cattivi che se la prendono con Andrea Giambruno, e il problema sono i ragazzini che vanno su Youporn.
Ora non è questo lo spazio per raccontare la decina di novità partorite ieri dal Consiglio dei ministri, ce ne occupiamo naturalmente sul giornale. Alcune di queste norme sono anche di buon senso, chi potrebbe opporsi al restauro del centro sportivo di Caivano o alparental control
sui telefonini (spoiler per la ministra Roccella: apra il suo iPhone, esiste già). Può sconcertare, certo, che la destra faccia effettivamente la destra ogni volta che può, mandando a tutti gli italiani una bella cartolina dall’Ungheria. “In galera!”, è la risposta a quasi tutte le domande. “La pena per il reato di spaccio di stupefacenti, nei casi di lieve entità, passa da un massimo di quattro a un massimo di cinque anni”. Avete letto bene: nei casi di lieve entità, 5 anni di carcere. Può spaventare questo ennesimo giro di vite, ma non deve stupire. All’inizio, ricordate, c’era stato il gravissimo problema dei rave, a governo Meloni appena insediato: chi vi partecipa rischia una condanna dai tre ai sei anni.
Quasi conviene, dopo il rave, fare anche una rapina in banca, tanto la pena è simile. Poi arriva il decreto Cutro e le pene per gli scafisti da andare a scovare in tutto il globo terraqueo. Come, sempre dal Polo nord all’Equatore, vanno perseguiti i criminali che fanno nascere i figli con la Gpa, ora “reato universale”. È un vortice senza fine, se non facesse paura ci sarebbe da ridere ripensando all’immenso Gian Maria Volontè nei panni del poliziotto in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto,
quando proclama che “il popolo è minorenne, la città è malata, a noi spetta il compito di reprimere. La repressione è il nostro vaccino, repressione è ci-vil-tà!”.
Qua invece, oltre al disegno vagamente reazionario, si intuisce più che altro il calcolo furbetto della facile propaganda. Le norme da bar – daspo, ammonimenti,carcere – gettate sulle tavole degli italiani all’ora di cena per farci cambiare serenamente canale e tornare alla serie preferita su Netflix, tanto a noi pensa Giorgia.
L’importante è non guardare alla manovra prossima ventura, con la Sanità de-finanziata, le promesse mancate sulle pensioni, il taglio al cuneo fiscale che ha la scadenza come lo yogurt (fino alle Europee), i soldi che non ci sono per gli insegnanti di sostegno e per stabilizzare i professori. Parliamo invece del daspo per le baby-gang.
È una sorta di salvinizzazione della premier, ormai in aperta competizione con il leader della Lega per non farsi rubare voti a destra. E la riprova di questo processo mimetico la si è avuta ancora ieri con la polemica incredibile contro il commissario europeo Paolo Gentiloni, un ex presidente del Consiglio che ha fatto della prudenza istituzionale e della correttezza bipartisan la sua cifra. Dopo le bordate di Salvini, la premier ci ha messo il suo carico. Sfoderando la tesi curiosa che i commissari europei dovrebbero fare gli interessi del Paese che li ha nominati. Dio ce ne scampi, Meloni desidera forse che von der Leyen “tenga un occhio di riguardo” agli interessi della Germania rispetto a quelli dell’Unione europea? No, gentile presidente del Consiglio, non è affatto “normale” né “giusto” che i commissari Ue rispondano agli interessi del Paese che li ha indicati. Il loro ruolo non è quello, la Commissione europea è la custode delle regole comuni, non è un parlamentino dove ciascun membro deve difendere la sua “Nazione”. Tanto più che la tesi che, secondo il governo italiano, Gentiloni dovrebbe difendere – ovvero un altro anno di sospensione del Patto di stabilità – non ha alcuna possibilità di essere approvata. Anzi, non è proprio sul tavolo. Purtroppo, questo ritorno da una parte alla propaganda securitaria e dall’altra al sovranismo anti-europeo è il prezzo che dovremo pagare, da qui alle elezioni del giugno 2024, alla competizione interna alle destre.