Nel naufragio della pietà, della solidarietà e dell’umanità, lo Stato si è inginocchiato ieri davanti alle 67 bare dei migranti morti nel mare di Calabria:ma il governo non c’era.
Sergio Mattarella ha sentito il dovere di portare il lutto della nazione a Crotone, davanti alla disperazione dei sopravvissuti di una delle più grandi tragedie del Mediterraneo e della storia delle migrazioni. Ha sostato in silenzio nel Palasport trasformato in camera ardente, ha incontrato in ospedale i sei bambini superstiti, ha ascoltato le voci dei familiari che chiedono aiuto per rimpatriare le salme. Solo, come se venisse da un altro Paese e da un’altra stagione della democrazia, il Capo dello Stato ha voluto comunque testimoniare il vincolo umano e morale, dunque politico, che lega il benessere democratico in cui vive la nostra popolazione con la dannazione di chi scappa dalla guerra e dalla miseria: cercando nella sponda europea della libertà l’unica speranza di futuro per i suoi figli.
Per la fisionomia etica della Repubblica non ha nessuna importanza che questo sentimento sia finito in minoranza, dimenticando la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, o almeno che non trovi rappresentanza nella cultura politica oggi dominante, e sembri divenuto estraneo alle istituzioni. Nella vicenda del nostro Paese c’è una tradizione di ideali e di storia, di coscienza dei doveri e di emozioni collettive che forma il deposito morale della cittadinanza e diventa la sua espressione civile, l’ancoraggio di cui deve tener conto chi fa le leggi, chi impersona il legittimopotere pubblico, chi rappresenta lo Stato, che non è neutroe indifferente ai valori.
La Costituzione è figlia di un processo storico e di questo spirito. E Mattarella ha portato a Crotone, con la sua presenza e i suoi gesti, il riconoscimento costituzionale della dignità umana, la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, il richiamo — all’articolo 2 — dei doveri “inderogabili” di solidarietà politica, economica e sociale. Perché secondo la Costituzione nessun governo può limitare i diritti dell’uomo, addirittura preesistenti allo Stato, prioritari rispetto ai diritti sociali e del benessere: da qui nasce il dovere della solidarietà umana, in quel mutuo sostegno tra le persone che è indispensabile per lo sforzo verso la libertà e l’uguaglianza, premesse del bene comune e della stabilità del sistema.
Dove siamo precipitati se nei quattro giorni trascorsi dal naufragio il governo non ha sentito l’obbligo di impersonare questo legame tra i diritti e i doveri? Donna, madre e cristiana, Giorgia Meloni ha tenuto la sua triplice auto-definizione al riparo dalla tragedia del naufragio, aspettando che passi l’onda e confidando probabilmente nel nuovo egoismo nazionale che derubrica l’accaduto a dramma della povertà e del terzo mondo, quindi lontano da noi anche se si compie a cento metri dalla nostra esistenza protetta. Nel silenzio risuona soltanto l’insensibilità irresponsabile del ministro dell’Interno, capace di condannare addirittura la disperazione che spinge in mare i migranti. Mai come in questa occasione è evidente il velo che separa il governo dalla realtà: l’ideologia, più forte dei sentimenti, delle emozioni, soprattutto dei doveri. Nel vuoto di potere, si delinea un rischio che Meloni dovrebbe evitare ad ogni costo per il bene del Paese: il fantasma dei due Stati che coesistono ma si divaricano rappresentando due mondi, uno consapevole dei doveri imposti dalla democrazia per la libertà di tutti, l’altro chiuso nell’esercizio ideologico dei diritti assoluti che nascono dalla vittoria elettorale. Mattarella è il punto di congiunzione tra questi diritti e quei doveri, il punto di equilibrio tra la storia della Repubblica e la voglia di riscriverla. Il presidenzialismo della destra è esattamente la rottura di questo equilibrio.