Martin Heidegger (1889-1976) è sempre stato un personaggio controverso, e non solo per la nota e ampiamente discussa adesione al Nazismo. Ma soprattutto perché, per chiunque si occupi di filosofia e tenga a cuore la cultura dell’Occidente, il nome di Heidegger suona come insieme una promessa e una minaccia. La minaccia in questione proviene dalla volontà titanica di questo pensatore, che intende niente meno che smantellare tutto il pensiero occidentale così come ci è stato tramandato da una tradizione che viene dai greci. La promessa, che è legata a doppio filo con la minaccia di cui si è detto, riguarda la possibilità di accedere a un nuovo modo di pensare e di essere, che prevede una radicale riformulazione delle categorie concettuali consegnateci dalla tradizione occidentale. Questo anzitutto perché il linguaggio che adoperiamo – linguaggio verso il quale Heidegger nutre una profonda diffidenza – appare in quanto tale incapace di esprimere il senso e il significato di tale operazione. Cosa che, a sua volta, rende più arduo l’accesso al pensiero di Heidegger che – proprio per la dichiarata impossibilità del linguaggio ordinario di rendere conto di tutto ciò – è talora costretto a usare un linguaggio arcano pieno di termini inusuali spesso di sua invenzione. Questo linguaggio, oltre alla complessità dei temi trattati, contribuisce a rendere praticamente impossibile un accesso serio ai suoi testi senza una sorta di tutoring, che poco alla volta consenta di frequentare la pagina heideggeriana con un minimo di consapevolezza. Fatto quest’ultimo che trasforma talvolta i lettori del nostro in settari aderenti al culto di un verbo profetico per iniziati. E che crea simmetricamente una reazione da quanti nutrono profondi dubbi sull’opportunità di fare un investimento intellettuale significativo per accedere a testi che giudicano incomprensibili. Forse allora un modo per evitare la scilla dell’adesione fideista e la cariddi della critica aprioristica sta nel partire dall’importanza oggettiva che questo pensatore ha avuto nell’ambito della nostra cultura non solo filosofica. Filosofi come Sartre, Gadamer, Derrida, Vattimo e Rorty hanno infatti tratto ispirazione da Heidegger, il cui pensiero ha avuto eco profondi anche in critica letteraria, architettura, teologia, psicologia, scienze cognitive e psicoanalisi.
Questa lunga – a mio avviso doverosa – premessa serve a presentare la riedizione in lingua italiana di un importante volume delle Opere di Heidegger, Metafisica e nichilismo, pubblicato da Mimesis e curato da Carlo Angelino, che è anche autore di un’approfondita Postfazione. Il volume in questione corrisponde al volume 67 della Gesamtausgabe -la monumentale raccolta delle opere complete di Heidegger, curata da Hermann Heidegger e Friedrich Wilhelm von Hermann- che ospita due opere di Heidegger. Anzitutto, il trattato dedicato a L’oltrepassamento della metafisica, che risale al 1938/39 ed è composto da un testo principale e due cosiddette continuazioni. Il contenuto riguarda un tema discusso anche nei Contributi alla filosofia. (Dall’Evento) e sostanzialmente tratta della metafisica concepita come una storia dell’abbandono dell’essente da parte dell’essere. Il secondo testo, intitolato L’essenza del nichilismo, risale invece al periodo 1946-48 e vede nel nichilismo l’essenza della metafisica. Sono stati pubblicati assieme sia per ragioni di affinità sostanziale sia per ragioni contingenti (entrambi giudicati troppo brevi per essere pubblicati in un volume autonomo).
Il libro probabilmente più importante di Heidegger, e di certo il più letto e discusso, è Essere e Tempo (1927), in cui viene presentata l’analitica esistenziale in polemica con la tradizione della metafisica occidentale. Essere e Tempo è, secondo l’interpretazione del suo stesso autore, un libro in cui manca almeno una parte essenziale (la terza della prima parte) dedicata a tempo e essere. Questa mancanza è la base per la svolta -la celebrata «Kehre»– del pensiero di Heidegger dopo Essere e tempo, dalle cui tesi l’autore intende prendere le distanze. Sulla svolta sono stati spesi fiumi di inchiostro e proprio ad una sua interpretazione Metafisica e nichilismo può offrire un ulteriore contributo. La questione fondamentale, quella sul senso dell’Essere, rimane per la verità la stessa prima e dopo la svolta. Muta sostanzialmente, tuttavia, il modo di accostarla. Prima della svolta, la questione sull’Essere viene affrontata nell’ottica del Dasein, l’esserci o, semplificando un poco, il «soggetto», attraverso una fenomenologia trascendentale di natura ermeneutica che prende le mosse dall’esperienza umana (vengono da qui i termini assai noti, usati e talvolta anche abusati del gergo post-hedeggeriano, come «essere nel mondo», «cura», «essere per la morte«). Con la svolta è proprio questo tipo di approccio filosofico a venir messo da parte. La questione sul senso dell’Essere non può più essere discussa a partire dal Dasein. La cosa, già in sé complessa, lo diviene ancora di più se si riflette sul fatto che la prima fase ha il suo focus in un’opera specifica (Essere e tempo), mentre la seconda fase, dopo la svolta, vede luce attraverso numerosi saggi non sempre univoci e coerenti tra loro (il più importante essendo il già citato Contributi alla filosofia, scritto tra il 1936 e il 1938, ma pubblicato in tedesco solo nel 1989). Centrali in quest’opera sono il concetto di «evento» (Ereignis) e la nozione di «abitare», termini da intendersi poeticamente e sulla soglia di ciò che lo stesso Heidegger chiama talvolta il «mistero». Proprio da questo mistero trae origine la centralità del nichilismo nella filosofia del secondo Heidegger.
Come recita il titolo del libro, Metafisica e nichilismo fornisce una chiave di lettura che permette di meglio comprendere che cosa Heidegger intenda con questi due concetti e, in questo modo, di accostare la svolta (Kehre) in maniera più attendibile. La metafisica è qui vista nell’ottica dell’oltrepassamento. L’oltrepassamento è il gesto tipico della metafisica, come a dire che per accedere alla verità dell’Essere noi dobbiamo metterla da parte pur continuando a tenerla in considerazione. L’indagine dopo la svolta presuppone così un rifiuto e una rinuncia all’analitica esistenziale e alle nostre convinzioni, atteggiamento che permette l’accesso a un altro inizio in cui l’Essere si apre come verità «in quanto radura dell’evento». Un atteggiamento siffatto implica il tramonto della metafisica classica, che, come verità dell’essente, rende impossibile l’accesso alla verità dell’Essere. Questo non vuol dire che i concetti tradizionali della metafisica -come anima, Dio, mondo- scompaiono, ma piuttosto che la metafisica, dopo la nietzscheana «morte di Dio» viene a coincidere con un’inconsapevole affermazione dell’attività distruttrice del nulla. Si tratta sostanzialmente del nichilismo di cui la tecnica contemporanea sarebbe la realizzazione più diretta e fatale.
Martin Heidegger
Metafisica e nichilismo a cura di Hans-Joachim Friedrich
edizione italiana a cura di Carlo Angelino
Mimesis, pagg. 339, € 26