di Simone Verde
Alla Fondazione Prada di Milano i modelli anatomici della Specola di Firenze incrociano l’immaginario di David Cronenberg. Tra estasi e gusto pulp
«Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere gemiti ». Ci vogliono le memorie di Santa Teresa d’Avila per comprendere le figure femminili del Museo della Specola, tutte di cera e in estasi sorridente, benché letteralmente “sventrate” per rendere visibili agli studenti di anatomia le loro interiora di esseri umani. Eseguite tra il 1780 e il 1782 da Clemente Susini e dai model-latori scultori dell’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze, restano ancora oggi attrazione sinistra di una Toscana ritardataria, ancora a cavallo tra barocco e illuminismo. Tornarono di moda negli anni Novanta, assieme alle ricchissime raccolte di ceroplastica di cui fanno parte, tant’è che nel 1999 l’editore tedesco Taschen gli dedicò uncoffee table book, ingrandendone a piena pagina i disgustosi scampoli organici – budella, muscoli scorticati, pupille disorbitate, fegati – da ammirare tra un Martini e uno Spritz Campari. Sull’onda del successo, ne confezionò poi una versione ridotta; e un’altra ridottissima, nel 2001 e nel 2004, per tutte le tasche, a sfamare una dilagante richiesta di pulp. Era, d’altronde, il tempo delle pulsioni animali della finanza che già avevano riscoperto le Wunderkammer, i gabinetti delle meraviglie dell’ancien régime, preferendole ai musei e prendendole per una ventina d’anni a modello di architetture d’interni, collezioni di moda, raccolte private: da Dolce & Gabbana alle mostre-allestimenti di Axel Vervoordt.
Oggi, i gioielli sui generis della Specola riemergono alla Fondazione Prada in accostamento alla cinematografia di David Cronenberg per la seconda mostra pensata per rivisitare in ottica contemporanea le raccolte di alcuni musei europei (titolo:Cere anatomiche, fino al 17 luglio). Nel 2019 era stata la volta del Kunsthistorisches di Vienna, proposto al pubblico da Wes Anderson in un allestimento di notevole effetto estetico mentre ora tocca alle collezioni fiorentine, messe a confronto con il maestro canadese del “body horror”. Le cui ossessioni, c’è da dire, non sembrano lontane da quelle di Clemente Susini o degli altri ceroplasti del Reale Museo, ma girano tutte attorno al problematico rapporto che nella cultura occidentale lega gli esseri umani al loro corpo. Una relazione particolarmente critica, dacché è incardinata su un fondo dualistico per cui la carne sta opposta allo spirito, la sua potenziale e diabolica putrescenza si trova di fronte l’eternità dell’anima in una trasposizione individuale del divino e del demoniaco che incombono sul mondo. Come dimenticare, tra i risvolti più macabri di questa visione, gli scolatoi delle catacombe di Napoli, dove i cadaveri venivano fatti dissanguare e marcire lentamente daglischiattamuorti affinché la testa si staccasse da sola dal collo, liberando così l’anima che tenevano intrappolata? Sempre nelle raccolte della Specola, gli incredibili teatrini diGaetano Zumbo, realizzati attorno al 1690, mettono in scena il marcimento degli appestati che guarda alle tele di Mattia Preti, servendosi di un’antichissima tradizione estetica e utilizzando la cera per simulare lo scioglimento della carne, nel peccato come nel supplizio divino.
Nell’ultimo film di Cronenberg, Crimes of the Future, una scienza futuribile, capace ormai di addomesticare la materia, raggiunge l’abolizione del dolore fisico e si serve del corpo come di un oggetto, modificandone liberamente la biologia, la struttura e il funzionamento organico, al punto da riuscire in una scissione primordiale, quella tra sensibilità corporea ed emotività. Una “sublimazione” della carne, quella del regista canadese, non molto dissimile ai processi dell’estasi barocca che traspaiono nelle figure squartate della Specola, una delle quali esibisce una teoria di budella, quasi una corona di fiori che incornicia il ventre, mentre il volto e la posa generale esprimono piacere, orgasmo, desiderio nello stesso momento in cui offrono le loro membra alla scienza. Meglio ancora, vista l’epoca della loro realizzazione, nel momento in cui attraverso la scienza si immolano a Dio.
Non è peregrino il riferimento a Teresa d’Avila, dunque, tanto più che nel modellare le loro creature di cera, Susini e colleghi trassero ispirazione alla celebre Estasi della santa scolpita dal Bernini nel 1652, sofferente ma gaudente nell’essere colpita dal dardo divino. In quest’opera, la compresenza di dolore e piacere nel momento della morte della carne, che per l’occidente dualista è resurrezione dello spirito, parve talmente inopportuna per la cappella di una chiesa romana, che qualcuno accusò il Bernini di aver tirato «quella Vergine purissima in terra, a fare una Venere non solo prostrata, ma prostituta». Non molto diversamente deve essere sembrato a Cronenberg al cospetto delle cere della Specola tant’è che il suo contributo in mostra consiste in un video, proiettato in un auditorium che sembra una sala anatomica, in cui quelle povere creature vengono fatte galleggiare con i loro materassini in seta, quasi fossero di plastica gonfiabile, su un mare caraibico e con un sottofondo equivoco di gemiti.