L’intervista
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Giovanni Maria Flick
SERENA RIFORMATO
Secondo l’ex ministro della Giustizia e presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, con il disegno di legge sull’Autonomia differenziata approvato giovedì dal governo «si è scelta una strada che ha lo stesso vizio della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001: la fretta».
I maliziosi dicono: è solo un contentino perché la Lega possa rivendicare il risultato ottenuto in vista delle regionali in Lombardia.
«Non faccio valutazioni di questo tipo. Dico solo questo: mi preoccupa che si possano utilizzare iniziative che intervengono sul tessuto costituzionale per ragioni di politica quotidiana. È un problema che si verifica da tempo nel Paese. Quello che sta accadendo sull’autonomia mi ricorda la riduzione del numero dei parlamentari, portata avanti per ragioni molto contingenti: un risparmio di spesa poi rivelatosi infondato, senza un ragionamento più ampio sul bicameralismo. Non ritengo sia giusto toccare l’assetto istituzionale del Paese attraverso riforme frettolose e disorganiche».
E questa lo è?
«Mi sembra che si stia correndo troppo. Il tema dell’autonomia differenziata non può ridursi a un dialogo fra la singola regione che chiede competenze aggiuntive e lo Stato che decide di concederle. Si dovrebbe, al contrario, portare avanti un discorso che riguardi tutte le regioni insieme. L’autonomia non può essere distribuita come se fosse un premio o un castigo. In più, non credo che il percorso normativo prospettato sia fino in fondo rispettoso della Costituzione».
Da che punto di vista?
«La Costituzione prevede un procedimento di modifica rafforzato, due letture per ciascuna camera ed eventualmente il referendum. Non credo che una trattativa fra la singola regione e lo Stato si possa sostituire a questa procedura».
Tutto ruota intorno ai Lep. Ci aiuta a capire meglio che cosa siano?
«Sono i livelli essenziali di ciò che lo Stato deve garantire ai cittadini in un sistema costituzionale improntato alla diversità e all’eguaglianza insieme. Si tratta di assicurare su tutto il territorio l’uniformità di materie fondamentali e complesse come, ad esempio, la sanità e la scuola».
Il concetto di Lep (Livelli essenziali di prestazione) è stato introdotto in Costituzione nel 2001. In 22 anni però questi livelli non sono mai stati definiti. Com’è possibile?
«I contrasti, le difficoltà, la crisi economica. Quali che siano le ragioni, è un fatto che siano rimasti un principio costituzionale inattuato. Infatti ci siamo trovati, nel corso della pandemia, in una situazione in cui le regioni erano in condizioni profondamente diverse l’una dall’altra sul piano sanitario».
Secondo l’auspicio del ministro Calderoli il percorso per la definizione dei Lep dovrebbe chiudersi entro un anno. Considerato che non ne sono bastati 22 per coprire questo vuoto normativo, è credibile questa tempistica?
«Vediamo se si riesce. Il punto è che una cosa è definirli, un’altra è realizzarli, i livelli essenziali. Ho l’impressione che sia un po’ troppo rapida come prospettiva».
E soprattutto: si può fare tutto a invarianza di spesa, come prevede il ddl del ministro Calderoli?
«Me lo auguro, ma mi sembra che sia un po’ difficile. In questo Paese ci sono diseguaglianze molto forti fra Nord e Sud, le quali vanno colmate. La questione meridionale non si è mai esaurita, ma al contrario è quanto mai presente».
Secondo il provvedimento, i Lep saranno determinati da “uno o più Decreti del presidente del Consiglio dei ministri”, i Dpcm. È lo strumento normativo adatto?
«No, non lo è, perché si tratta di un atto amministrativo. I diritti fondamentali non possono che essere disciplinati per legge perché se questa non corrisponde ai parametri fondamentali stabiliti nella Costituzione c’è la via del ricorso alla Consulta, la quale può intervenire solo su leggi non sui Dpcm».
Se ne occuperà una cabina di regia. È il percorso giusto?
«Questa è una valutazione tecnica. Per me è importante che i livelli essenziali delle prestazioni debbano garantire il livello essenziale di pari dignità sociale. Un tema che non può essere definito con un algoritmo o con il riferimento alla spesa storica perché vorrebbe dire semplicemente imbalsamare le diseguaglianze. Non può essere un calcolo matematico».
Ciascuna Regione può chiedere fino a 23 competenze aggiuntive. È opportuno che un così ampio ventaglio di materie sia nella disponibilità delle regioni?
«L’aumento dell’autonomia regionale non è come una lista à la carte, come a dire “vado e scelgo i piatti che mi piacciono di più”. Ci si deve prima di tutto chiedere se alcune di queste materie non rischino di essere indebolite eccessivamente, se ne compromette il carattere unitario. Certe competenze hanno una dimensione che non può essere frammentata fra una regione e l’altra. Penso alle reti di comunicazioni, ai collegamenti autostradali, all’energia, al sistema della sanità e alla scuola. Per restare solo ad alcuni degli aspetti più importanti».
Quali sono i rischi di un’istruzione “differenziata”?
«Lo Stato deve garantire una serie di parametri di formazione comuni ai ragazzi di tutto il Paese. Non può essere un aspetto legato alla maggiore disponibilità economica di alcune regioni».
Le opposizioni sostengono che l’autonomia differenziata spaccherà il Paese. Lei lo vede questo rischio?
«Tendo a non drammatizzare mai. Non mi piacerebbe profetizzare sventure come la spaccatura del Paese. Temo però che sia reale il rischio che aumentino le diseguaglianze. Ci saranno regioni che andranno sempre meglio e regioni che andranno sempre peggio».
Allo stesso tempo, il governo continua a parlare di presidenzialismo. I due progetti sono compatibili?
«Mi preoccupa l’idea che nella stessa maggioranza si discuta di due problemi completamente diversi, l’autonomia e il presidenzialismo, con un’insufficiente comprensione dei rispettivi problemi e del rischio della loro sinergia. Su entrambi per ora è difficile dare una valutazione perché non se ne conosce il contenuto esatto. Per esempio: di quale presidenzialismo stiamo parlando? Quello di Trump? Quello di Macron? Quello del cancellierato tedesco? Quali saranno gli elementi di “check and balance” se si decide di levare di mezzo una figura autorevolissima di mediazione com’è oggi quella del Presidente della Repubblica?».