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28 Aprile 2024di Paolo Conti
«In questa meravigliosa miniatura Beato Angelico riprende gli stessi moduli formali dei suoi grandi affreschi. Penso alle opere conservate al museo di San Marco qui a Firenze. Il modello è identico, quasi sovrapponibile. Ma ciò che colpisce in un’opera di così ridotte dimensioni è la stupefacente capacità tecnica. Abbiamo osservato alcuni particolari al microscopio: le ciglia e le rughe dei personaggi, le gocce di sangue, le lacrime della Madonna, persino il punto bianco della luce negli occhi. Va bene, usava le lenti: ma quali e quanto potenti in quel tempo per ottenere simili risultati? E quali pennelli infinitesimali? Un restauro che ha posto molti interrogativi sulla grandezza di un autentico Maestro. Una miniatura, certo, ma che non ha alcuno scopo decorativo proprio perché è, in piccolo, una grande opera».
La restauratrice e storica dell’arte Letizia Montalbano è la direttrice tecnica del lungo restauro realizzato per la Crocifissione del Beato Angelico, miniatura conservata ora nel Museo dell’Abbazia di Vallombrosa. Insieme con la direttrice complessiva del restauro, Cecilia Frosinini, Montalbano ha lavorato nella macchina culturale dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze al recupero di un piccolo, preziosissimo gioiello della storia dell’arte.
Il risultato del lavoro (cominciato nel 2012 e proseguito per tre anni, poi minuziosamente controllato e documentato, infine definitivamente licenziato per essere esposto) viene ora svelato con una mostra che aprirà martedì 7 maggio proprio in quell’Opificio diretto per molti anni da Marco Ciatti, scomparso il 20 aprile.
Prima di addentrarci nei particolari tecnici è essenziale, e anche affascinante, seguire la storia di questo foglio di pergamena (alto 33,6 centimetri e largo 21,8) che rappresenta il Cristo in croce tra due cosiddetti «dolenti», a sinistra Maria e a destra San Giovanni. Il fondo è in blu di lapislazzulo, dal costato del Cristo sgorga il sangue, intorno appare una cornice a spirale e in rilievo attribuita però a un altro miniatore. L’uso della foglia d’oro è spettacolare. Scrive Letizia Montalbano sul bollettino dell’Opificio: «Gli studiosi sono ormai quasi tutti concordi nel datare la miniatura al terzo decennio del XV secolo, sulla base di analogie con miniature e dipinti dello stesso periodo». Ma come arriva fino a noi la miniatura? Ancora Montalbano: «Il foglio, miniato solo sul recto, apparteneva probabilmente a un messale e la conferma di questa ipotesi potrebbe essere, oltre al formato, la dimensione minore del fregio a destra rispetto a quello di sinistra, così fatto per esigenze di legatura. In epoca imprecisata la miniatura fu asportata dal codice, rifilata e incollata a piena pagina su una tavoletta di noce, sorte purtroppo comune a molti oggetti di questo tipo, poi destinati al mercato antiquariale».
Fortunatamente l’opera non finì sul mercato privato di qualche collezione. L’unica certezza storica e documentata è che la miniatura, incollata sulla tavoletta, nel 1960 era conservata nella chiesa di Santa Trinita perché apparve nel 1961 nella Mostra di Arte Sacra delle diocesi di Firenze, Fiesole e Prato con l’attribuzione a Beato Angelico di Luciano Berti (storico dell’arte, direttore del Bargello e poi degli Uffizi). Con la tragica alluvione di Firenze l’opera subì la forte aggressione dell’umidità. Umberto Baldini, direttore dell’Opificio dal 1970 al 1983, così scrive nel 1971 introducendo il primo restauro, poi realizzato solo tra il 1981 e il 1982 da Sergio Boni: «L’opera ebbe a subire le forti escursioni igrometriche che coinvolsero la chiesa nell’alluvione del 1966: il legno ebbe notevoli movimenti e più risentimento ne ricevette la pergamena che si rigonfiò in più parti». I danni erano tanti: alla sottile e delicata pellicola pittorica, alla foglia d’oro, al fondo di lapislazzulo, alla pergamena. Boni fu protagonista di un restauro avanguardistico per i tempi: pose l’opera in una camera di umidità (al 100% di UR -umidità relativa) per ammorbidire la tenacissima colla animale che la legava alla tavola, la staccò dopo un costante controllo quasi al minuto delle condizioni sotto umidità e infine la stabilizzò sotto peso. Forse un azzardo ma fortunato: la perizia dello studioso di fatto salvò l’opera. Nel 2011 si capì che un nuovo intervento era inevitabile per salvare la miniatura e si partì col progetto che oggi ci restituisce il piccolo capolavoro.
Molte indagini (luce trasmessa e radente; spettroscopia FT-IRC; tecniche di imaging multispettrali nel visibile, nell’UV e nell’infrarosso, elaborazione per via elettronica del falso colore IR e riflettografia con scanner multispettrale Vis-NIR) hanno rilevato superfici di sporco, distacchi di colore soprattutto nel fondo blu, abrasioni nelle decorazioni a foglia d’oro. L’impegno dei restauratori è stato lungo e paziente: di nuovo la camera di umidità ma all’80%, il passaggio di una miscela di alcol etilico, alcol butilico e acqua demineralizzata per uniformare la superficie e consolidare le zone più compromesse della pittura, prima ancora una pulitura a secco di tutta la superficie grazie al microscopio. Infine la miniatura è stata collocata su un pannello di cartone a nido d’ape e conservata in una nuova scatola foderata di carta giapponese realizzata da Montalbano con la collaborazione di Maurizio Michelozzi. Verrà monitorata a un’umidità relativa 50-55% e a una temperatura di 18-24°C. Seguendo la suggestione di Letizia Montalbano, il Beato Angelico della miniatura di Vallombrosa è quasi sovrapponibile al tabernacolo che appare, in basso, nella grande Pala di San Marco dello stesso Beato Angelico, conservata al museo di San Marco. E il Cristo in croce ha molte similitudini con un bellissimo disegno conservato all’Albertina di Vienna, cronologicamente precedente e quindi (forse) proprio uno dei modelli individuati dal Beato Angelico per le sue successive opere legate sul tema della Crocifissione.
Montalbano svela un legame personale con l’opera e la sua storia: «Quando arrivai all’Opificio molto giovane, vidi Boni al lavoro sulla miniatura proprio nei giorni più delicati. Quindi considero questo restauro una sua eredità: pur avendo lavorato anche su Leonardo e Raffaello, per me è particolarmente significativo».
La mostra all’Opificio riproporrà dunque la prestigiosa qualità dei restauri realizzati dall’Opificio. Spiega Emanuela Daffra che lo dirige dal 2022: «Questa del Beato Angelico è una storia complessa e anche molto particolare perché si tratta di un’opera che venne tecnicamente snaturata. Ma ci sono due aspetti da sottolineare. Il primo: la miniatura è legata ai tanti danni della spaventosa alluvione del 1966 che fu l’anno in cui l’Opificio prese di fatto la forma attuale, anche per quanto riguarda gli spazi di lavoro, per l’urgenza di soccorrere una grande quantità di tesori».
Chiunque abbia memoria storica, ricorderà per esempio il drammatico ricovero dell’iconica Croce di Cimabue che, sommersa dall’acqua a Santa Croce, venne collocata nei locali della Fortezza da Basso e sottoposta a un restauro che interessò il mondo. Ancora Daffra: «C’è poi un altro aspetto. Il recupero della miniatura del Beato Angelico mostra un aspetto identitario dell’Opificio: la capacità tecnica di affrontare casi complessi e, in alcuni casi, ritenuti disperati. Insieme ai lunghi lavori di ripristino è stata realizzata una puntuale documentazione sulla storia dell’opera, sui suoi materiali e sulle tecnologie avanguardistiche utilizzate».
L’Opificio, dunque, come ospedale per interventi storico-artistici difficilissimi. Basta riguardare alcune immagini in bianco e nero proprio della Croce di Cimabue scattate subito dopo il recupero dall’acqua nel 1966 (le più impressionanti appaiono sul sito dell’Opera di Santa Croce e provengono dalla fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze) per provare una profonda emozione di fronte alla Croce com’è oggi, nonostante l’irreparabile perdita del 60% della superficie pittorica: il restauro dell’Opificio ha restituito la grandiosa carica espressiva di quell’uomo crocifisso che ci riporta al Beato Angelico. Un’opera di grandi dimensioni e una miniatura. Lo stesso tema. Due sommi artisti. L’identico bisogno di affidarsi alle cure dell’Opificio.
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