di Carlo Cottarelli
Abbiamo il Def (Documento di Economia e Finanza), ma lo abbiamo senza il quadro programmatico (ossia senza gli obiettivi di finanza pubblica del governo). Questo sarà definito solo a settembre. Strano, ancora più strano è che Giorgetti in conferenza stampa abbia però, in parte, parlato di tali obiettivi.
Insomma, la situazione è un po’ confusa.
Giorgetti ha detto che la mancata presentazione del quadro programmatico è dovuta al fatto che non ci sono ancora le “disposizioni attuative” delle nuove regole europee sui conti pubblici. Non si capisce però a cosa esattamente si riferisca. Quali aspetti di tali disposizioni attuative influirebbero sulla definizione dei nostri obiettivi di finanza pubblica?
Sappiamo che i Paesi che saranno in procedura di deficit eccessivo (e l’Italia lo sarà, come ha detto lo stesso Giorgetti) saranno vincolati principalmente dall’obbligo di ridurre il deficit strutturale di mezzo punto percentuale di Pil all’anno. Cosa mancava per tracciare il percorso di rientro del deficit, e quindi di tutto il resto del quadro di finanza pubblica?
Fra l’altro, la nostra legge sul bilancio dello Stato del 2009 richiede che il Def definisca gli obiettivi di deficit e debito pubblico per il triennio successivo (articolo 10, comma 3). È vero che questo deve avvenire “in coerenza con quanto previsto dall’ordinamento europeo”, ma, come ho detto, non è chiaro quali aspetti delle mancanti “disposizioni attuative” impediscano la definizione dei principali obiettivi di finanza pubblica.
Non mi straccio le vesti per l’omissione del quadro programmatico, anche perché nel passato decennio più di una volta gli obiettivi del Def fissati ad aprile furono cambiati nel successivo settembre. Cinicamente si potrebbe dire che il Def non è poi così importante. Ma è curioso che Giorgetti abbia aggiunto quanto segue riferendosi agli obiettivi di deficit: «È chiaro, e lo scriviamo nel Def, che, mentre per il 2024 è puntualmente riconosciuto il raggiungimento dell’obiettivo del 4,3%, noi intendiamo anche rispettare il dato del 2025 e del 2026», chiarendo poi che si riferiva agli obiettivi di deficit fissati nel settembre scorso (3,6% del Pil nel 2025 e 2,9% nel 2026).
E quindi? Se per “noi” Giorgetti intendeva il governo allora perché non presentare il quadro programmatico completo, dati questi obiettivi di deficit? Forse perché questo avrebbe comportato anche indicare, seppure in termini generali, come tali obiettivisarebbero stati raggiunti, spiegando, per esempio, come trovare le risorse per finanziare la conferma del taglio dei contributi sociali che scade a fine 2024 (e del taglio dell’Irpef che, secondo il viceministro Leo, è solo parzialmente finanziato da risorse già accantonate)? O forse con “noi” Giorgetti si riferiva solo al suo ministero mentre a livello di governo non si è ancora raggiunto un accordo? Insomma, tutto poco chiaro.
Ma veniamo a quello che c’è nel Def. Il governo ha rivisto verso il basso le previsioni di crescita del Pil reale per il 2024 e 2025 di uno 0,2%, portandole all’1,0% e all’1,2% rispettivamente.
Non mi meraviglia visto che le previsioni originali erano (e lo avevo scritto) ottimistiche. Anche quelle attuali lo sembrano ancora.
Pochi giorni fa la Banca d’Italia ha previsto uno 0,6% nel 2024 e un 1,0% nel 2025.
Abbastanza alto, alla luce delle tendenze in corso, è anche l’aumento previsto dal Def per i prezzi. Ma con alta crescita per il Pil reale e per i prezzi, anche l’aumento del Pil nominale (cioè in euro) risulta più alto e questo aiuta a contenere l’andamento tendenziale del deficite, soprattutto, del debito pubblico rispetto al Pil. E qui arriviamo al punto più dolente.
Nonostante le ipotesi ancora ottimistiche per il Pil nominale (e per le entrate da privatizzazioni), il debito è ora previsto crescere di due punti e mezzo del Pil tra fine 2023 e fine 2026, arrivando al 139,8%. È vero che nel settembre scorso il livello del debito era un po’ più alto, ma questo solo perché l’Istat ha alzato la stima dell’inflazione nel 2023, e, cioè, perché l’inflazione ha eroso il valore dei titoli in circolazione, una vera tassa occulta.
Con l’inflazione tornata a livelli più moderati nel 2024-26, il debito riprende a crescere. E, forse, tornando al tema iniziale, presentare un quadro programmatico con un tale aumento sarebbe stato eccessivo: insomma, piuttosto di essere bocciati ora dagli osservatori internazionali, meglio rimandare (per non dire essere rimandati) a settembre.