Il regolamento che blocca la vendita di motori termici nel 2035 sparisce dal vertice Ue del 7 marzo Pesa la contrarietà di Germania e Italia e il fronte si allarga. Meloni: “È un nostro successo”
TORINO — Alla fine la questione politica è esplosa, mettendo di fatto in stand-by il regolamento che blocca la vendita di auto a benzina e diesel dal 2035. Uno stop che mette nel congelatore le norme per trasformare l’Europa nel Continente della mobilità elettrica «in attesa di un chiarimento con gli Stati membri», dice la vice portavoce capo dell’esecutivo Ue, Dana Spinant. Il rischio era di arrivare alla minoranza di blocco, sostenuta dalla strana alleanza Germania, Italia, Polonia e Bulgaria, che tra astensioni e «no» avrebbe fatto saltare tutto. Dopo il pressing del ministro ai Trasporti Matteo Salvini si aggiungerà la Repubblica Ceca.
Il governo italiano, che ha detto no alla ratifica, ha approfittato della situazione: «Il rinvio a data da destinarsi è un successo italiano — scrive su Facebook Giorgia Meloni esultando — è giusto puntare a zero emissioni di CO2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile, ci sono tecnologie pulite diverse dall’elettrico. La linea italiana ha trovato largo consenso in Europa». Posizioni ripetute dagli altri protagonisti, il ministro all’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il collega dell’Impresa e made in Italy, Adolfo Urso, e anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che insieme all’ex ministro Roberto Cingolani avevano sostenuto la «linea della neutralità tecnologica». Il governo Draghi, però, non aveva mai detto no.
Dopo il rinvio nella commissione preparatoria di ieri, il punto non compare più nel Consiglio del 7 marzo. Non si fanno previsioni e si guarda alla Germania. Il governo gialloverde deve chiarire la linea tra Liberali e Verdi. La questione tecnica, la richiesta di inserire gli e-fuel nel regolamento insieme all’elettrico per tenere in vita i motori a scoppio, nasconde le divisioni dell’esecutivo Scholz. La prossima settimana si definirà la posizione.
C’è poi l’industria, soprattutto la filiera della componentistica, che teme gli effetti più duri della transizione. E preme per le modifiche. Con le vetture elettriche cala il numero di componenti, un 30% in meno rispetto a quelle tradizionali. Alcune lavorazioni meccaniche sono condannate a sparire. Le previsioni indicano un impatto occupazionale negativo di 500 mila posti in Europa e 60 mila in Italia. Non mancano studi più pessimisti. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sottolinea che «l’Europa ha tradito lo spirito iniziale della neutralità tecnologica. Fissa l’obiettivo, come lo si raggiunge lo lasci al mercato. Se cambi strada in corsa, spiazzi l’industria». Da Torino si fa sentire il numero uno dell’Unione Industriali, Giorgio Marsiaj: «Si va verso un’auspicata rivisitazione delle misure. Finalmente la politica sta ascoltando la voce delle imprese». I produttori Ue dell’Acea, guidata dall’ad di Renault Luca De Meo, sono più cauti: «Sì all’apertura a nuove tecnologie», ma «confidiamo nell’approvazione finale». I grandi gruppi, come Stellantis, hanno investito nell’elettrico, anticipando al 2030 gli effetti, tanto da dire «no» al nuovo standard per i motori a scoppio, l’Euro 7, ritenuto inutile. Altri, come Audi, Bmw o i marchi giapponesi, sondano soluzioni diverse. Preoccupati i sindacati. Rocco Palombella della Uilm e Ferdinando Uliano della Fim-Cisl dicono: «Vittoria? L’incertezza è deleteria, sarà un dramma». Michele De Palma, numero uno della Fiom, dice no a «battaglie di retroguardia, si a investimenti in innovazione».