Serena Riformato
«I numeri non sono opinioni: il fondo sanitario nel 2024 è al massimo storico di sempre: 134 miliardi. Negli anni prima del Covid stava a 115 miliardi. Non si può dire che abbiamo tagliato». La premier Giorgia Meloni, dallo studio di Porta a Porta, difende l’operato del suo esecutivo (e omette di precisare che la spesa sanitaria vada considerata in rapporto al Pil: in discesa al 6, 4 per cento nel 2024, pari ai livelli pre pandemia). Intanto tre segnali d’allarme in ventiquattro ore danno la misura dell’urgenza: salvare il Ssn, subito, prima che sia troppo tardi. Dopo l’appello di quattordici esperti, ieri all’indirizzo di Palazzo Chigi sono arrivati, a stretto giro, un ammonimento della Ragioneria di Stato sui Lea e l’aut aut della Conferenza delle regioni: se il governo non dovesse ripristinare i finanziamenti di 1, 2 miliardi tagliati dal decreto Pnrr per le opere di sicurezza sismica delle strutture ospedaliere, i governatori potrebbero rivolgersi alla Corte Costituzionale. La battaglia unisce amministratori di destra e sinistra. «Ci siamo sempre mossi in modo costruttivo seppure in uno scenario critico», premette il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, alla guida della Conferenza delle regioni: «Abbiamo chiesto – spiega il leghista – che venga eliminato il definanziamento o che venga preso un impegno formale per rifinanziarlo negli anni successivi». Nella conclusione, l’ultimatum, seppur sfumato, in risposta a una domanda sulla possibilità di rivolgersi alla Corte Costituzionale: «Utilizzeremo – avvisa Fedriga – tutti i canali della collaborazione e anche quelli di non collaborazione, se necessario, per tutelare il più possibile il Ssn». Un documento della Conferenza delle regioni illustra il braccio di ferro nei dettagli: l’articolo 1, comma 13 del decreto Pnrr prevede che gli interventi di edilizia ospedaliera non più finanziabili con il piano europeo siano coperti da fondi propri delle regioni, senza aggiungerne altri. Problema non irrilevante: le risorse in questione «sono destinate ad interventi di edilizia sanitaria che le regioni hanno già programmato». Insomma, soldi impegnati.
Il presidente del Friuli-Venezia Giulia attenua la critica con l’ottimismo: «Da un’interlocuzione informale – garantisce – abbiamo visto un’apertura».
Il terzo segnale d’allarme, si diceva, lo lancia un documento dello scorso 26 marzo: la Ragioneria dello Stato critica l’ennesimo slittamento al 2025 dei nuovi Livelli essenziali di assistenza e delle tariffe aggiornate, chiedendo che i fondi già destinati a questo scopo non siano utilizzati per altre voci di spesa. Il rischio? «Le differenze nell’erogazione di prestazioni tra le regioni», secondo i tecnici del Mef, con un altro rinvio, «consoliderebbero le disparità assistenziali che attualmente si registrano nei territori regionali».