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NAPOLI
Non una sola persona abita più nelle Vele di Scampia, le palazzine realizzate a Napoli tra gli anni Sessanta e Settanta su progetto di Franz Di Salvo su ispirazione delle unités d’habitation di Le Corbusier. Sono stati allontanati ieri gli ultimi 11 nuclei familiari che ancora vivevano nella Vela Rossa. Nel 2023 erano stati censiti all’interno di essa 189 famiglie, che sono state progressivamente allontanate negli ultimi 6 mesi. Dopo che a luglio morirono 3 persone e 12 furono ferite a causa del cedimento di un ballatoio nella Vela Celeste (oggetto già nel 2015 di una ordinanza di sgombero mai eseguita), l’amministrazione comunale ha infatti «scoperto» che nelle 3 palazzine superstiti delle 7 che furono edificate (4 Vele sono state già demolite) era opportuno non rimanesse più nessuno. Di qui i provvedimenti di allontanamento di chiunque abitava ancora nella Vela Rossa, nella Gialla (93 i nuclei familiari) e naturalmente nella Celeste, quella della tragedia di sei mesi fa, dove le famiglie erano 209.
I piani del comune prevedono ora di abbattere la Vela Gialla e quella Rossa e di ristrutturare e destinare a funzioni pubbliche la Celeste. Chi abitava nelle palazzine otterrà, secondo quanto promesso più volte dal comune, case decenti nelle nuove costruzioni che sorgeranno sul suolo delle Vele demolite e di fronte alla Celeste. Nel frattempo, fruisce del contributo di autonoma sistemazione, finanziato inizialmente con risorse comunali e poi con fondi del governo. «Per una famiglia di 4 persone – calcola Omero Benfenati, storico promotore del Comitato Vele – ammonta a circa 900 euro al mese. La cifra è adeguata, il problema è che alcuni hanno avuto difficoltà a trovate un alloggio in locazione, complice il pregiudizio nei confronti di chi ha vissuto nelle Vele».
Benfenati è arrivato nella Gialla quando aveva solo 9 mesi: «I miei abitavano a Fuorigrotta. Papà era un operaio alla Pirelli e occupò con altri perché con lo stipendio non riusciva a pagare un affitto e portare avanti la famiglia di 6 persone. Nella Vela abitavamo in una casa di 96 metri quadrati: due stanze da letto, due bagni, una cucina e un’anti cucina dove il sole non arrivava mai. Si viveva male. In inverno la casa non si riscaldava mai, stavamo con stufe e tre coperte. Gli ascensori perennemente guasti facevano sì che chi abitava ai piani alti ed era avanti con l’età viveva da recluso. C’era amianto nei pannelli delle scale e ricordo che da bambini ne staccavamo pezzi per utilizzarli come gessetti per aggiornare il tabellino delle partite di calcio che improvvisavamo nella Vela, come porte i sacchi dell’immondizia. Le mie due figlie sono nate lì, poi nel 2016 ci siamo trasferiti nelle nuove case costruite in via Gobetti. È un giorno importante per noi che abbiamo continuato a rivendicare diritti e a lottare».