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In piazza a Roma c’era invece il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri: “Scioperiamo per avere risposte sul rinnovo del contratto, sulla perdita del potere d’acquisto che registriamo da due anni e contro una flessibilità selvaggia. Rivendichiamo in un momento in cui questi settori vanno benissimo, la redistribuzione e quanto dovuto a chi questi settori li fa funzionare”. La linea è “o contratto o altri scioperi”, dice il segretario Uil di categoria Paolo Andreani.
Le testimonianze portate ieri nelle cinque piazze raccontano una realtà di paghe ancora inferiori. Carlo lavora in un supermercato dell’hinterland milanese. Guadagna 6,25 euro all’ora. La stessa cifra che prendeva quattro anni fa. Ma nel frattempo il costo della vita è aumentato. Lo sanno bene i suoi colleghi che attaccano le etichette dei prezzi sugli scaffali. “Qui l’inflazione la vediamo tutti i giorni”, racconta una donna che lavora in un discount. Un esempio? “Quattro anni fa il riso un chilo di riso costava 79 centesimi oggi un 1,5 euro”. E con 1.300 euro al mese e tre figli a carico “non basta più avere un lavoro per poter sopravvivere”. Per questo hanno incrociato le braccia a tre giorni dal Natale. Anna lavora in una mensa aziendale del Bresciano. Venti ore a settimana, un part time non voluto, ma imposto dall’azienda. E così non arriva neanche a 600 euro al mese. Marcia a fianco delle addette di un grande magazzino del centro di Milano. “Scioperiamo perché l’azienda vorrebbe aumentare la flessibilità facendoci lavorare 46 ore nel periodo natalizio e 30 ore a febbraio ma non siamo dei burattini che possono essere usate in mano loro, non siamo più persone”.
E poi ci sono i lavoratori del turismo. In tanti arrivano dalla Romagna. “Qui sulla riviera ci sono condizioni di forte irregolarità – racconta Gianluca Gregori della Filcams Cgil Cesena – i contratti sono formalmente da 40 ore ma si lavora anche 12/13 al giorno, senza riposi sia negli alberghi che negli stabilimenti balneari”. La conferma che il turismo sia uno dei settori più irregolari arriva dall’Ispettorato del lavoro che registra negli alberghi e nei ristoranti un tasso del 76,61%.
Tra i manifestanti c’è anche un ex portiere notturno di un hotel. Durante la stagione ha lavorato sette giorni su sette, di notte, per un totale di 300 ore al mese. Lo stipendio? 1.100 euro, in media poco più di 3 euro all’ora. Spostandosi verso il Nord-Est la situazione non sembra migliorare. Lo raccontano i lavoratori dell’Alto Adige che hanno portato a Milano uno striscione bilingue: “Arbeit ohne kollektivvertrag ist arbeit ohne rechte – il lavoro senza contratto è un lavoro senza diritti”. In questa regione secondo Werner Niederkofler, della Filcams Cgil Bolzano ci sono 40 mila lavoratori nel turismo, ma soltanto il 16% ha un contratto a tempo indeterminato. “Il resto è fatto da part time sulla carta ma full time nella realtà. Si lavora sette giorni su sette. E gli stipendi non bastano per poter vivere in una delle terre più care d’Italia, dove per un bilocale si spendono 850 euro. Così non si può più andare avanti”.
I sindacati parlano di adesione media al 70% con punte del 100% in alcuni punti vendita della distribuzione commerciale. Sparse da tutto il territorio nazionale arrivano notizie di punti vendita chiusi per lo sciopero: a Catania, per esempio, un centro commerciale Coin e un Eurospin avevano le serrande abbassate, nonostante Federdistribuzione avesse assicurato l’apertura dei negozi. Sembra quindi che la maggiore adesione – del tutto prevedibile – si registri nelle grandi catene del commercio, meno nelle piccole imprese del turismo e della ristorazione, dove solitamente è più difficile organizzare i lavoratori, malgrado siano le realtà più problematiche sul piano dei diritti.