Aiuti a Kiev: Meloni “nasconde” il nono pacchetto fino al voto
15 Maggio 2024Toti verso le dimissioni dopo l’interrogatorio Meloni: attendo risposte
15 Maggio 2024
di Virginia Piccolillo
Il no in Aula: non tutto può essere sacrificato per lo slogan «scegliete il capo del governo». C’è un declassamento del Colle. E anche Cattaneo attacca
Roma «Non posso e non voglio tacere». Prende la parola durante la discussione generale sulla riforma per l’elezione diretta del premier, la senatrice a vita, Liliana Segre. Entra nel merito del disegno di legge di modifica costituzionale. E lo boccia senza appello. Perché, scandisce con chiarezza: «Presenta vari aspetti allarmanti».
Non grida, non alza i toni e non «mette in dubbio la buona fede della cara amica Casellati». Ma parlando di «prova di forza» e di «sperimentazione temeraria», spiega perché individua il rischio che «tutto», dalla scelta del presidente della Repubblica, al controllo della Corte costituzionale, agli altri organismi di garanzia, finisca «sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di potere di vita e di morte sul Parlamento».
Il Parlamento
Mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante
potere esecutivo
Parole nette quelle pronunciate dalla senatrice nominata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e testimone della Shoah. Soprattutto quando parla di «drastico declassamento che la riforma produce a danno del capo dello Stato, che non solo viene privato di alcune prerogative, ma costretto a guardare dal basso in alto un presidente del Consiglio forte di un’investitura popolare». Lei, precisa, non ritiene la riforma della Costituzione «una vera necessità del Paese». E non si sente sola a crederlo, viste le bocciature dei referendum del 2006 e del 2016. Piuttosto si stupisce che «gli eletti dal popolo, di ogni colore, non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente». E che «di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo si proponga di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo».
Quirinale e Palazzo Chigi
Il capo dello Stato, privato di fondamentali prerogative, sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un premier forte dell’investitura popolare
Paventa che la stabilità rincorsa sia «fittizia»: con un premier «cementato dall’elezione popolare» costretto a «vivere con un Parlamento riottoso». E che ci sia «un’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento». Aggravata da una legge elettorale che dovrà garantire «sempre, mediante un premio, una soglia minima a sostegno» del premier. E dunque, evidenzia, «paradossalmente la legge Acerbo del 1923, sarebbe incostituzionale perché troppo democratica». Nella legge voluta da Benito Mussolini, infatti, «il premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%», rimarca. E se la Corte costituzionale ha già cassato il Porcellum e l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, chiede «come è possibile perseverare?». Ma c’è di più: «Anche il capo dello Stato rientrerebbe nel bottino che il partito o la coalizione vincente ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza».
L’equilibrio dei poteri
Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti
Invitando, con Leopardi, a guardare «oltre la siepe dell’equilibrio politico dell’oggi, delle convenienze e delle discipline di partito» e scrutare «l’Infinito nel quale devono collocarsi le Costituzioni», conclude, tra gli applausi: «Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!”». E per essere più esplicita, chiosa: «Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».
La legge elettorale
Com’è possibile perseve-rare nell’errore creando per la terza volta una legge elettorale destinata a produrre quella stessa «illimitata compressione della rappresentatività» del Parlamento?
Un giudizio severo,condiviso ieri da un’altra senatrice a vita, Elena Cattaneo che, da scienziata, critica la mancanza di «logica» nel ddl. Perché «aprirebbe a una deriva plebiscitaria che nell’investitura del capo, di un uomo solo o di una donna sola al comando tradirebbe la fiducia dei cittadini» nel cui nome si pretende di agire. «Il Parlamento è il grande malato delle istituzioni repubblicane che da tempo non riesce a esercitare con pienezza il dominio che gli è proprio», dice Cattaneo.
«L’elefante nella stanza che oggi si finge di non vedere» è soprattutto «quello che nel testo non c’è»: «La necessità di restituire forza, dignità e autonomia a un Parlamento indebolito». Per questo, dice, «immaginare che domani il governo, o più precisamente il presidente del Consiglio eletto, possa determinare autonomamente lo scioglimento delle Camere significherebbe decretare la fine di un organo costituzionale già malato». È proprio per scongiurare questa fine, secondo Cattaneo che la discussione sul rafforzamento del capo del governo non può non avere «come presupposto giuridico-costituzionale il rafforzamento del Parlamento». Perché, a suo giudizio, «con questa riforma il Parlamento, già succube oggi del governo, diventerebbe ostaggio di una persona sola: il premier».
A Milano
Meloni difende la riforma: riguarda il futuro, non me. Lo «scatto» sulla giustizia
«Consiglio dei ministri a breve». E sulla Rai: io il premier meno presente
Chiara Baldi
Milano Non arretra di un centimetro Giorgia Meloni sulla riforma della Costituzione per dare maggiori poteri al presidente del Consiglio. Anche perché, spiega la premier che ieri era Milano per la terza volta da quando è a Palazzo Chigi, il referendum sul premierato «non è su di me, in teoria non mi riguarda, se passasse entrerebbe in vigore nella prossima legislatura». La revisione costituzionale, che per Meloni «non sarà una revival delle dimissioni di Renzi», sarà effettiva «dal 2028, quindi non riguarda me e neanche il presidente Mattarella», il cui mandato scade nel 2029. «Vedo sempre che lo tirano per la giacchetta — aggiunge intervistata dal direttore della Verità Maurizio Belpietro per «Il giorno della Verità» — ma nel 2028 saremo anche verso la fine del suo mandato, è una riforma che guarda al futuro». La promessa è quella di una lunga stabilità per il governo in un Paese in cui, ricorda, «io oggi sono la sedicesima presidente più longeva, entro Natale rischio di diventare la sesta». Con il premierato «cambierà tutto. Non mi preoccupo di quello che dicono gli avversari, non c’era bisogno di fare» questa riforma «per noi che abbiamo un governo stabile. Ma se io che ho il vantaggio della stabilità non mi ponessi il problema di raddrizzare quello che non funziona, non mi troverei in pace con la mia coscienza». E per Meloni, che vede negli elettori «il mio unico faro», «quando gli italiani riterranno che sbaglio, mi manderanno a casa come sempre accade in democrazia: non sto qua per sopravvivere».
Anzi, l’obiettivo è durare cinque anni, come ha spesso ripetuto e per questo, a prescindere dal risultato delle Europee, «non ho mai pensato a un rimpasto. Tra gli obiettivi c’è quello di arrivare a cinque anni con il governo che ho nominato. E questo non è mai accaduto nella storia d’Italia». Sulla partita europea bisogna «spuntare una delle deleghe più importante per difendere l’interesse italiano: lavoriamo per un commissario» a «economia, competitività, mercato interno, coesione, anche al green deal».
Il Covid
Sulla commissione d’inchiesta la premier dice: è utile, spero possa lavorare
Oltre alla riforma della Costituzione c’è quella della giustizia, in un clima agitato dalle inchieste, non ultima quella che ha portato il governatore ligure Giovanni Toti ai domiciliari con l’accusa di corruzione. Sulle possibili dimissioni spiega: «Ha detto che avrebbe letto le carte e avrebbe dato le risposte. Penso sia il minimo indispensabile per un uomo che sta governando molto bene la Regione». I tempi per una «rivoluzione» per le toghe sono rapidi: «Nei prossimi giorni il testo arriverà in Consiglio dei ministri», probabilmente il 29 maggio. Perché «la riforma della giustizia serve alla nazione, non la facciamo perché ci smontano il decreto Cutro ma perché la giustizia in Italia non funziona: bisogna avere il coraggio di intervenire, come su tutte le questioni che rallentano investimenti e sviluppo».
A Bruxelles voglio spuntare un commis-sario di peso
Vorrei la delega all’Econo-mia o al Green deal
È però sulla Rai e sulle accuse di «TeleMeloni» che la premier reagisce. Tanto che sfodera un grafico con i dati dell’Osservatorio indipendente di Pavia sulla presenza dei leader in tv. «Li ho guardati per vedere se ci fosse uno squilibrio e ho guardato proprio quelli del Tg1, perché sarebbe problematico se uno squilibrio ci fosse». Poi, l’elenco: «Nei primi 14 mesi di governo di Giorgia Meloni su “TeleMeloni”: 15 minuti. Con Draghi erano 19 minuti, e già qui ‘sta TeleMeloni scricchiola. Con Conte 42, nel Conte I erano 25, con Gentiloni 28, con Renzi 37 minuti…». Dunque «non accetto accuse perché non c’è “TeleMeloni”, non c’è più “TelePd”. Dov’erano le anime belle del pluralismo quando accadevano queste cose?».
Il premiera-to è neces-sario. Spero in conver-genze
Altrimenti chiederò ai cittadini cosa ne
pensino
Ospite di un quotidiano che ha condotto una battaglia contro i vaccini, Meloni sottolinea la necessità della Commissione d’inchiesta Covid su cui «ci sono molte resistenze: alcuni partiti d’opposizione si rifiutano di nominare i loro componenti». E ha ricordato le accuse ricevute per non aver vaccinato contro il virus la figlia Ginevra che all’epoca aveva 5 anni. «Volevo evidenze scientifiche e invece mi hanno messo alla berlina, additata come no vax: ma lei ha fatto tutti gli altri vaccini».
Nessun rimpasto di governo dopo le Europee
Il mio obiettivo è durare cinque anni,
non è mai accaduto
Meloni replica anche alle accuse del sindaco Sala di essere poco presente in città. «Sono una persona sola. Le risposte arrivano, cerchiamo di darle a tutti, lo facciamo anche con Milano». Poi ha portato un saluto a Christian Di Martino, il poliziotto ferito ricoverato in ospedale. Per lui un invito a Palazzo Chigi quando sarà tornato in forze.