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Semplicemente “Italiano”. Sulla tomba di Giovanni Spadolini al cimitero delle Porte Sante, davanti all’abbazia di San Miniato al Monte che guarda Firenze, c’è solo questa parola. Così volle il fiorentino, toscano, italiano, europeo, che è stato presidente del senato, primo ministro, capo dei beni culturali, direttore di quotidiani, storico illustre. In questo numero di Espansione il presidente della Fondazione Nuova Antologia Cosimo Ceccuti racconta chi era Spadolini, che cosa fece per salvare il petrolio d’Italia, il patrimonio artistico che prima del suo arrivo era mal custodito e, in alcuni casi, depredato.
L’italianità di Spadolini ci riporta alla mente un seminario del 2011 promosso da Aspen e al quale il giuslavorista Pietro Ichino intervenne con una riflessione sull’identità nazionale nell’era della globalizzazione e soprattutto spiegò perchè occorre difenderla e, soprattutto, i motivi per cui non c’è contraddizione tra l’esigenza di mantenere un’identità nazionale e l’apertura al mondo.
“Essere italiani – disse – significa essere eredi e custodi della libertà conquistata, con il sangue di chi ci ha preceduti, contro il dominatore austriaco e borbone prima, contro i nazisti poi”. Aggiungerei anche contro i fascisti. “Ma vedo una degenerazione di questa idea di libertà nazionale – spiega Ichino – quando essa è declinata nei termini di una antistorica libertà dalle ingerenze straniere nella nostra economia, di una difesa della italianità delle nostre imprese che in realtà è per lo più difesa di un management indigeno meno efficiente dalla concorrenza proveniente dall’estero”.
Per Ichino, inoltre, “essere italiani significa essere eredi di un patrimonio culturale, artistico e ambientale unico al mondo e impareggiabile, fieri della nostra capacità di manutenerlo, difenderlo e arricchirlo, nell’interesse dell’umanità intera. Vedo invece una degenerazione di questa idea quando essa si traduce nel ritenerci liberi, in quanto italiani, di far di questo patrimonio quel che ci pare: liberi di fare scempio dell’ambiente naturale, di lasciar andare in rovina i nostri monumenti, di lasciar ammuffire nelle cantine dei nostri musei tesori d’arte che in qualsiasi altro Paese sarebbero esibiti con orgoglio”. Spadolini ci provò e, in parte ci riuscì. Allo statista fiorentino va il merito di aver sensibilizzato sul tema il mondo della politica e delle imprese per far fruttare anche economicamente l’enorme tesoro di cui disponiamo.
L’industria culturale può rappresentare un settore chiave per lo sviluppo economico dell’Italia dove la ricchezza storica si fonde con la creatività contemporanea per generare occupazione e crescita.
Nel 1974 l’allora presidente del consiglio Aldo Moro ebbe l’intuizione di fondare un ministero dei beni culturali al quale Giovanni Spadolini dette forma e sostanza. Da allora sono stati fatti avanti nella tutela e gestione del patrimonio culturale ma tanto altro può essere fatto per non disperdere una grande eredità.