Intervista al direttore
L’avventura del Museo Novecento raccontata dal suo “ regista”: 170 eventi, 60 mostre, l’arrivo di giovani artisti
di Elisabetta Berti
Il museo dei condomini. Con vere opere d’arte che lasciano le sale per riempire temporaneamente ingressi, androni e vani scale dei palazzi della città. Lo scopo è creare una comunità unita nel segno dell’arte, fatta di cittadini responsabili, consapevoli, sentitamente partecipi della sorte dei loro beni culturali. La proposta, non solo una provocazione, ma ancora tutta da definire, viene da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento da quattro anni, che in mente ha sempre avuto un obiettivo: dare a Firenze un volto autenticamente contemporaneo.
Quasi una missione, in parte raccontata nelle 700 pagine del volume “Museo Novecento.
2018-2022” che verrà presentato domani, 5 dicembre, nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio (ore 18, ingresso libero). «È il resoconto del mio lavoro da quando mi sono insediato alla direzione. Da allora sono passati quattro anni, compresi due di Covid che hanno azzerato le attività e poi costretto i musei in un’altra dimensione operativa. Con testi e immagini si ricapitolano gli oltre 170 eventi, 60 mostre, 25 eventi speciali, che ruotano tutti attorno a tre assi: la valorizzazione della collezione permanente, l’aggiornamento sulle nuove generazioni di artisti, le mostre di impatto con i protagonisti dell’arte del Novecento come Moore, Morandi, Jenny Saville, Tony Cragg».
Come ci si riesce in una città dal passato così ingombrante?
«Quello che ha permesso al Museo Novecento di realizzare progetti espositivi di tale valore è la collaborazione con le altre istituzioni culturali cittadine. Opera del Duomo, Museo Archeologico, Museo Bardini, Casa Buonarroti, Museo degli Innocenti ed altri. È straordinario il dialogo virtuoso che siamo riusciti a instaurare tra tutti questi soggetti.
Vent’anni fa ce lo potevamo solo sognare».
Il segreto dunque è fare rete?
«Sì, ma non solo. Da pratese sono convinto che la concorrenza faccia bene anche all’arte. In questo senso il confronto con una realtà affermata come Palazzo Strozzi credo possa essere di incitamento a fare sempre meglio. Inoltre la vicinanza, anche fisica, col museo Marino Marini può essere un valore aggiunto. A breve presenteremo un programma che ci vede collaborare».
Torniamo ai quattro anni passati. Lo scoglio più grande?
«È stato necessario affermare prima di tutto l’autorevolezza scientifica del museo. Dovevamo essere credibili per gli artisti. Dopodiché, grazie alla fiducia guadagnata, siamo riusciti a realizzare mostre che dal punto di vista del nostro bilancio sarebbero state irrealizzabili. La solidità del progetto politico e scientifico ha fatto sì che molti artisti e partner abbiamo contribuito in prima persona a colmare le mancanze di budget. Del resto ho capito che i grandi artisti rispondono alla chiamata non per il mercato o la cronaca, ma per sentirsi dentro una grande casa comune, che è quella dell’arte».
E la città ha recepito tutto questo?
«Sì, la percezione diffusa è che Firenze oggi sia molto più “contemporanea” che in passato.
Sono sicuro che il Museo Novecento abbia risposto ad un’esigenza che non era solo del mondo dell’arte, ma che proveniva dall’anima della città. In particolare dai giovani che hanno bisogno di esperienze sull’arte moderna. Io tengo sempre a mente che un museo civico è un servizio pubblico, i soci azionisti sono i cittadini».
E quindi i musei di condominio.
«Esatto. È un’idea da sviluppare, ma penso già a laboratori da fare con gli abitanti del quartiere».
E adesso, quali obiettivi ha?
«Il prossimo upgrade sarà passare dall’essere un museo all’essere un istituto di arte moderna e contemporanea che svolga sempre più la funzione di centro di produzione e centro di formazione.
Vorrei che il Novecento fosse un posto dove si fa ricerca e si sostiene il talento».
E le prossime mostre?
«Una è il frutto del mio lavoro negli ultimi vent’anni e finalmente si terrà nel 2023: quella congiunta su Giacometti e Fontana. Ospiteremo l’artista americano Kami, e a settembre, per la terza edizione della Florence art week, porteremo a Firenze Cecilie Brown, grande pittrice britannica di cui ho avuto l’onore e il piacere di curare una mostra a Capodimonte».