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30 Giugno 2022Libri A 40 anni dalla prima edizione torna in libreria con Adelphi il saggio di Carlo Ginzburg dedicato al maestro del Rinascimento. Ancora fresco, aggressivo e rivoluzionario. Ecco perché
di Vanni santoni
Non è mai scontato parlare di artisti-monumento come Piero della Francesca senza cadere nel troppo facile (e del resto inevitabile) elogio, e da lì in un’ammirazione incondizionata e quindi retorica. A meno, allora, di affidarsi alla tattica più lineare — osservare le opere senza cercare un commento, nella consapevolezza di perdersi molto, visto quanto ragionato e stratificato era il suo lavoro — una soluzione può essere quella di andare in cerca di accessi obliqui, inattesi, al lavoro dell’artista. Accessi come quello aperto da Indagini su Piero di Carlo Ginzburg, ripubblicato, in versione rivista e ampliata, da Adelphi. Con questo testo, che risulta ancora fresco, aggressivo e rivoluzionario a quarant’anni dopo la prima edizione, e anche dopo aver avuto ragione, Carlo Ginzburg, un «non storico dell’arte», si propose di confutare sulla base di elementi esterni — i soli ammissibili per uno storico «puro» — , legati a committenti e iconografia, la data precoce di un elemento cruciale nell’opera di Piero quale la Flagellazione di Cristo , avanzata da uno dei maggiori storici dell’arte del Novecento, Roberto Longhi.
Nel caso della Flagellazione , e in generale anche nelle altre Indagini , gli elementi connessi allo stile vengono ignorati, ma solo in apparenza, perché viene ripetutamente esaminato un dato di convergenza (o di frizione) tra gli uni e gli altri: la cronologia; si tratta, insomma, di un libro che nasceva per discutere con gli storici dell’arte — e infatti li fece anche infuriare, a volte inchiodandoli alle loro responsabilità.
Oggi, però, anche grazie a questa splendida edizione, straordinariamente ricca di tavole a colori, Indagini su Piero si rivolge a tutti coloro che amano la pittura di Piero della Francesca, che grazie allo sguardo diagonale di Ginzburg appare qui in una luce inattesa. Se Piero è, in apparenza, il pittore della chiarezza e della serenità, anche per via delle sue impeccabili geometrie — era del resto anche matematico —, in realtà le sue opere restano deliberatamente sospese in uno spazio liminale, quasi metafisico, in cui vanno a incontrarsi arte figurativa, assiomi matematici, questioni teologiche, affermazioni filosofiche e financo commenti all’attualità dell’epoca. Ciò che emerge allora da Indagini su Piero è anzitutto il come e il perché l’artista di Sansepolcro abbia incarnato in modo così perfetto, nella vita quanto nelle opere, i valori intellettuali e spirituali del suo tempo, condensando gli influssi più disparati e mediando tra tradizione e modernità, tra religiosità e affermazione dell’Umanesimo, tra razionalità ed estetica.
Peraltro, nonostante una simile preminenza, Piero della Francesca è, tra gli artisti del nostro Rinascimento, uno di quelli su cui si hanno meno elementi biografici; per di più, le opere datate sono pochissime. Come ricorda Ginzburg, nella «parete liscia» che è per ogni ricercatore il lavoro su Piero, «c’è solo qualche chiodo sparso qua e là»: la presenza di Piero a Firenze nel 1439, al seguito di Domenico Veneziano; la commissione per la pala della Misericordia a Sansepolcro nel 1445; l’affresco di Rimini che raffigura Sigismondo Malatesta, datato 1451; l’attività a Roma nel 1458-59, documentata dai pagamenti della Camera Apostolica. Per il resto, si possiedono solo congetture, notizie malsicure o indirette, e nei casi migliori datazioni post quem e ante quem che lasciano aperti vuoti di decenni.
È in un tale contesto di grandi «vuoti» che si sono fatte strada ipotesi variegate e a volte fantasiose, sia da parte di storici dell’arte che di figure legate a determinati ambienti. È noto, ad esempio, che uno dei principali e più clamorosi errori di datazione, quello della Flagellazione di Cristo da cui prende le mosse anche il saggio di Ginzburg, si deve a un’interpretazione del soggetto del quadro, o meglio della scena in primo piano, elaborata tra Sette e Ottocento in ambiente urbinate, dove si voleva che il giovane biondo a piedi nudi raffigurasse Oddantonio da Montefeltro, assassinato da una congiura nel 1444. Gli urbinati intendevano quindi interpretare la Flagellazione come un omaggio alla memoria del duca, da poco e tragicamente scomparso, e questa forzatura, rivelatasi non solo errata ma addirittura «assurda», per usare le parole dello stesso Ginzburg, ha condizionato l’interpretazione dell’opera fino ai giorni nostri, anche perché inizialmente accolta da Longhi.
Come scrive Ginzburg, «che le mie indagini su Piero dovessero diventare prima o poi anche indagini su Longhi mi pare oggi inevitabile. Longhi è stato per me un modello e una sfida continua anche quando mi allontanavo dalle sue conclusioni: per esempio nella proposta di posticipare di un quindicennio la data della Flagellazione , facendone un’opera della maturità e non della giovinezza di Piero. Ma sulla Flagellazione ho continuato a lavorare […] e tutto questo lavorio ha alimentato una riflessione su un tema più generale — quello della prova — di cui nell’ultimo decennio mi sono occupato a più riprese e da svariati punti di vista. Ma non vorrei insistere troppo su questioni metodologiche: ho continuato a lavorare su Piero soprattutto perché non riuscivo a staccarmi dai suoi quadri», e così accade anche al lettore, che confrontandosi nel 2022 con questo mirabile saggio, ben presto dimenticherà le Indagini per tuffarsi in un vero e proprio Viaggio su , e dentro, Piero .