Marc Lazar
Quel che colpisce Marc Lazar, professore di Storia e Sociologia politica a Sciences Po a Parigi e di Relazioni italo-francesi per l’Europa alla Luiss di Roma, è l’ampiezza del fenomeno: il 70% di italiani convinti dell’inevitabile declino dell’Occidente. Delle sue colpe, di una crisi irreversibile di senso e di valori.
È come se i cittadini fossero a disagio nelle democrazie liberali in cui vivono. Quasi non ne riconoscessero più la legittimità. Questo la sorprende?
«Mi sorprende l’ampiezza del dato e l’evidenza di una situazione di gravissimo pericolo. Che mi fa pensare – e attenzione, questo non significa che sia la stessa cosa – alla crisi e al rigetto delle democrazie europee degli anni ’20 e ’30 del ventesimo secolo».
Ai tempi del comunismo, del fascismo e del nazismo?
«Si presentavano come modelli opposti alle democrazie, criticando le democrazie, e avevano un sostegno anche da parte di Paesi che non erano in regimi di dittatura. Come la Francia o la Gran Bretagna».
Che correlazione vede?
«Questo rigetto del mondo occidentale è teorizzato in Russia e in Cina, nonostante queste due potenze non abbiano gli stessi obiettivi, ideologicamente si oppongono a un modello democratico che considerano superato. Questo ha avuto un impatto ovviamente su alcuni Paesi del Sud globale, ma anche in diversi Paesi europei dove alcuni esponenti politici in passato hanno indicato Putin come modello».
Ad esempio?
«Salvini in Italia, Zemmour e anche un po’ Marine Le Pen in Francia. C’è quindi stata una critica venuta dall’esterno che ha avuto un impatto all’interno. C’è un secondo elemento che riguarda l’Islam politico e la sua critica durissima contro il degrado dei costumi occidentali».
Critica che fa anche Putin.
«Siamo dipinti come società occidentale decadente, priva di valori, piena di omosessuali. Anche questo ha un impatto non in tutte le popolazioni immigrate di origine araba o di religione musulmana, solo in alcune frange di quelle popolazioni. Infine c’è il mondo accademico che nel nome della decolonizzazione e della critica durissima dei crimini dell’Occidente ha contribuito a questa percezione».
Quei crimini però ci sono stati.
«È vero che ci sono stati crimini durante la colonizzazione, ma questo ha dato luogo a una critica permanente del modello occidentale come ipocrita e corrotto. Mi colpisce che tutto questo arrivi a un livello così alto in Italia».
In Francia non è così?
«Anche da noi ci sono indagini che parlano del declino dell’Europa e del mondo occidentale rispetto alla forza della Cina. Insieme a una profonda crisi democratica. In Francia la sfiducia nei partiti ha raggiunto l’86% e a rendere la situazione più esplosiva è una situazione sociale molto complicata, con un’enorme preoccupazione sul potere d’acquisto».
A proposito di potere d’acquisto, lei ha appena pubblicato un volume in inglese per Feltrinelli che si intitola Left – traduco – crisi e sfide della sinistra europea. Crede che questa crisi sia cominciata quando la sinistra si è arresa alla logica del mercato e ai meccanismi incontrollati della globalizzazione?
«Ci sono molte sfumature. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 la socialdemocrazia ha pensato di aver vinto contro il grande fratello comunista che crollava. E ha creduto si potesse avere una globalizzazione felice che avrebbe portato molti vantaggi. Tutto questo si è cristalizzato nel dibattito sulla terza via: Blair, Schroeder, D’Alema, Prodi, con un legame forte con il partito democratico di Bill Clinton».
Secondo molti è il peccato originale.
«C’è un’interpretazione molto diffusa secondo cui ci sarebbe stata un’assimilazione totale delle proposte neoliberiste, ma non è vero. Questi partiti hanno preso alcuni elementi dei neoliberismi e cercato di adattarli al loro ideale di uguaglianza e di giustizia sociale. Il problema è che molte politiche pubbliche non hanno convinto della loro efficacia e che non c’è stata un’analisi di quel che ha funzionato e quel che invece no. Nel frattempo, i ceti popolari classici cambiavano o perdevano il posto di lavoro e nascevano nuovi ceti popolari legati alla precarizzazione del mercato del lavoro e alla disoccupazione».
E la socialdemocrazia perdeva la sua forza.
«Non si capisce quale sia il modello alternativo che propone, se ce n’è uno, in un contesto in cui la politica conta sempre meno nei confronti dei grandi gruppi mondiali».
E arriviamo alla plutocrazia che si intravede nel ruolo di Elon Musk negli Stati Uniti. Ma restando in Europa, non crede che le spinte populiste siano riuscite a scardinare sistemi un tempo apprezzati per la loro stabilità come Germania e Francia.
«In Germania si dice che la Cdu dovrebbe vincere, ma L’Afd sta crescendo molto. Quanto alla Francia, la situazione è davvero gravissima, perché da una parte c’è questa diffidenza politica altissima, maggiore che in Italia, unita a un disagio sociale molto forte. Il terzo elemento è la dimensione culturale e identitaria: quest’angoscia che vediamo nei dati del Censis, quest’idea del declino, è dovuta anche alla diversità che è cresciuta nelle nostre società. Si è ridotta la possibilità di un senso comune tra i cittadini, che non sanno più cosa significhi essere italiani, francesi o tedeschi. Ci sono meno valori universalmente condivisi. E un rapporto difficile tra città, regione, nazione ed Europa».
Il riferimento di Trump in Europa è Orban. Dobbiamo temere che la democrazia illiberale si faccia strada anche da noi?
«In Italia c’è una resistenza legata alla capacità di assorbimento delle cariche di protesta o populiste da parte delle vostre istituzioni. Avete una capacità che io chiamo di “acculturazione democratica”. Una Costituzione difficile da cambiare, molti hanno tentato e non ci sono riusciti. Un presidente della Repubblica che gioca un ruolo importante. Siete più forti di quanto credete».