SGUARDO SULLA CITTA’ – IL CARO BOLLETTE
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21 Settembre 2022di Pierluigi Piccini
Ma dove stiamo andando? Dopo due anni di pandemia e una guerra che scarica i suoi costi non soltanto morali sulle famiglie e sulle imprese, ci domandiamo quale sarà il nostro futuro, cosa succederà nel medio periodo. A subire le conseguenze della situazione saranno sicuramente le fasce sociali più deboli e le economie fragili. Da questa situazione ne usciremo profondamente cambiati, e si salveranno soltanto quei territori che avranno già impostato o hanno intenzione di strutturare una risposta organica alla crisi. Non c’è dubbio che l’economia di Siena è debole, incentrata come è su rendite di posizione obsolete, con ricavi marginali bassi a fronte di costi significativi. Produzione poca, numerosi ricarichi che seguono l’andamento dei costi fissi. Gli aumenti di quest’ultimi sono ormai fuori controllo e diventati esponenziali, tanto da mettere in difficoltà la stessa esistenza di molte attività economiche e l’equilibrio economico delle famiglie. Dunque, è una economia debole quella senese, e lo rimarco: abbiamo capito e lavorato perché i nostri beni avessero un futuro, dialogassero organicamente fra di loro, coprissero un segmento di mercato capace di essere strategico e mettessero a riparo l’economia della città e del suo territorio? No. Se voltiamo lo sguardo all’indietro ci accorgeremo che la dimensione economica della città si è definita spontaneamente, non si è confrontata, non è stata indirizzata verso visioni strategiche suffragate da strumenti di programmazione adeguate. Basterebbe ricordare il Piano operativo, di concezione vecchia e di fatto inefficace: l’unica cosa che è riuscita a fare è bloccare, congelare la situazione. Piano del commercio: difensivo e di protezione. Piano della mobilità: vecchio. Transizione ecologica: assente. Rapporti con l’area vasta: non pervenuti. Si è vero, vengono sbandierate proposte come il Biotecnopolo diventato un asset per pochi; non si è voluta prendere in considerazione la possibilità di un vero e proprio distretto. Gli addetti nel settore sono tanti così come alcune aziende private sicuramente performanti. Aziende che hanno bisogno, non solo di finanziamenti pubblici, ma soprattutto del contesto, dei cosiddetti servizi di contesto. Per citarne solo uno su tutti, la formazione universitaria di qualità. O altre come la cultura, citata da qualcuno, dimenticata da altri e comunque non inserita organicamente nei processi economici e di sviluppo. Ciò che viene proposto ripete modelli arretrati, da tempo superati, una monotonia che toglie il respiro. Nascono diverse etichette, promosse dalla politica, legate all’innovazione. La cui committenza, però, non riesce a chiedere che la domanda sociale faccia parte integrante dei presunti ammodernamenti. Rimanendo in questo modo subalterna ai consolidati apparati “scientifici”: una assicurazione sulla vita. Insomma, credo che ancora si possa, si debba imbastire un patto per il lavoro fatto di obiettivi strategici e di concretezza. Un patto dove le forze e le domande sociali e quelle istituzionali si incontrino per trovare obiettivi comuni e risorse condivise, nel quale l’amministrazione comunale svolga il suo ruolo di ente generale capace di proporre programmazione e visione strategica di area vasta. Insomma, quello che fino a ora non è stato. Mancanza che indebolisce ancora di più una realtà economicamente debole.