A Hollywood hanno scoperto la “complessità”
17 Marzo 2024Generazione X Nati alla fine della storia
17 Marzo 2024a cura di Laura Zangarini
Una compagnia di Geelong, Australia, ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera della Biennale Teatro 2024 (15-30 giugno). Attiva dal 1987, Back to Back Theatre è guidata da un gruppo di attori percepiti come affetti da disabilità intellettive. Il loro è un teatro, scrivono nelle motivazioni del premio i direttori della Biennale Teatro ricci/forte che «spazza via» i pregiudizi e «rende la disabilità uno strumento di indagine artistica». Scott Price, attore, e Bruce Gladwin, direttore artistico, raccontano il lavoro della compagnia.
Qual è l’oggetto della ricerca teatrale di Back to Back Theatre?
SCOTT PRICE — Ricercare ciò che è possibile fare all’interno del «regno» del teatro, creare opere partendo dai nostri cuori e dalle nostre menti, creare un teatro fedele a noi stessi. Fare il teatro che vorremmo vedere, qualcosa che ci faccia divertire.
BRUCE GLADWIN — Creare un’esperienza del pubblico che sia trasformativa. Intrattenere e provocare. Ricordare al pubblico che tutto ciò che abbiamo è il legame umano. Fidarsi dell’inconscio, abbracciare incomprensioni, errori e false interpretazioni. Collaborare, creare opportunità e lavoro per gli artisti.
Cosa ispira il vostro lavoro?
BRUCE GLADWIN — Il lavoro è ispirato dal nostro ensemble di attori. Come regista, mi interessa la singolarità degli attori: la compagnia li ha considerati sin dall’inizio come una risorsa. Sono interpreti arrivati con una serie di esperienze di vita, un’estetica, una teatralità, un’individualità, una performance e un’immaginazione che alimenta il lavoro. Amo questa compagnia perché è anti-sistema, è l’opposto di come funziona la maggior parte degli ensemble artistici.
SCOTT PRICE — Back to Back ha un’estetica punk. Sono ispirato dalle reazioni di fronte a un lavoro. Provo gioia nel vedere gli occhi del pubblico illuminarsi.
Chi sono i membri della compagnia?
SCOTT PRICE — Io mi vedo come un nerd del computer diventato artista. Sono autistico. Ho 37 anni, vivo a Geelong e coltivo una barba lussureggiante. Sarah Mainwaring è una campionessa di equitazione, le piacciono i cavalli, beve tè ed è l’unica donna della compagnia. La sua esperienza è nel movimento, nella danza, nella coreografia. Simon Laherty ha 42 anni, è basso e bruno, ama la musica, fare ricerche e progettare teatro.
BRUCE GLADWIN — Tutti gli attori sono sempre unici nel loro genere, ma la dimensione di unicità può essere asservita ad altre esigenze caratteristiche della tua produzione. Sono consapevole che molti attori di Back to Back non sono sostituibili o creano momenti non riproducibili. Provare a farlo sarebbe una perdita di tempo. La loro presenza individuale non ha bisogno di essere imposta ma è «lì». Per me, come regista, questo è un asset di grande valore. È importante che ogni incontro performativo sia costituito dalla singolarità dell’esecutore ma anche dalla singolarità di ogni spettatore. Ciò che viene rivelato non è sul palco ma nella mente di chi guarda.
C’è un filo conduttore che accomuna le produzioni di Back To Back?
SCOTT PRICE — Potenza, cura, responsabilità, alterità, qualcosa che offra speranza.
BRUCE GLADWIN — Gli spettacoli si basano sulla ricerca, sul pensiero profondo, sulla conversazione, sull’ascolto di voci diverse, sulla sperimentazione, sull’apertura al fallimento e agli errori, al perdersi. Raccogliamo idee e cerchiamo somiglianze tra cose che si pensava fossero diverse. C’è un interesse costante per la tensione tra biografia e finzione.
Avete girato il mondo, ma Venezia sarà la vostra prima volta in Italia. Potete riassumere il vostro percorso artistico?
SCOTT PRICE — Venivo da una scuola speciale (una scuola per studenti con disabilità), ho fatto una serie di laboratori e progetti comunitari con Back to Back. Dopo un’audizione sono stato reclutato come attore. Mi ritengo fortunato ad avere un lavoro. Bisogna applicarsi con grinta, abilità e determinazione. Lavoriamo sodo per fare grande arte, non è facile e dobbiamo correre parecchi rischi, ci schieriamo in prima linea, cerchiamo di capire cosa sta succedendo nella società contemporanea e diamo vita a qualcosa che sia rilevante, sfidi, provochi e diverta.
BRUCE GLADWIN — Investiamo nelle persone e nel tempo. Come compagnia, ci concentriamo sul fare teatro, sviluppando progetti in un arco di tempo che può richiedere tre anni. Puntiamo a creare la migliore arte possibile. Il nostro modello di business capitalizza l’investimento creativo mantenendo le opere in repertorio finché c’è richiesta. Continuiamo a presentare Small Metal Objects, del 2005, come parte dei prodotti artistici del catalogo di Back to Back. Possiamo essere in viaggio fino a venti settimane all’anno, gli attori sono esperti nel realizzare e presentare il lavoro. E sul palco hanno un’incredibile resistenza.
L’arte — il cinema, il teatro — possono favorire l’inclusione delle persone con disabilità?
SCOTT PRICE — Sì, l’arte può aggiungere voci diverse. L’inclusione è un cambiamento sociale, ma significa anche che le persone con disabilità sono in grado di perseguire i propri obiettivi, che è un diritto umano.
Quali temi vengono affrontati in «Food Court», lo spettacolo che presenterete alla Biennale Teatro?
SCOTT PRICE — Food Court è uno spettacolo dark ma bellissimo. I suoi temi sono il potere, la brutalità e l’alterità.
BRUCE GLADWIN — In Food Court abbiamo cercato di rendere il pubblico sia spettatore che spettacolo. È un lavoro sulla seduzione, la costrizione, il potere, le intenzioni malvagie e la resilienza.
Qual è stata l’ispirazione di «Food Court»?
BRUCE GLADWIN — Per tanto tempo è sembrato che le persone con disabilità giocassero a fare le vittime. In Food Court volevamo creare un’opera in cui un attore con disabilità interpretasse un personaggio capace di fare del male. Dopotutto, se non sei capace di fare il male, allora non sei umano e se non sei umano, allora cosa sei? Subumano? Lo spettacolo in sé è brutale e bellissimo: una tensione da cui il pubblico non si libera mai. Food Court non punta a raccontare la disabilità. Ma solleva la domanda: i personaggi ritratti sono disabili o no? Il «significato» all’interno del lavoro di Back to Back ha a che vedere con chi sono gli artisti, cosa rappresentano e cosa può essere proiettato su di loro. Per qualche ragione sembra naturale legare la storia del personaggio a quella dell’attore. È la loro esperienza personale? Poiché sono disabili, potrebbe trattarsi di autobiografia? La risposta è sì e no.
Come si è svolto il processo di scrittura?
BRUCE GLADWIN — Abbiamo attinto a qualsiasi fonte disponibile, inclusi dati personali, accademici, film, eventi attuali e storici. La drammaturgia è stata influenzata da un delitto mostruoso avvenuto in Gran Bretagna, l’omicidio di James Bulger (il bimbo, 2 anni, fu rapito il 12 febbraio 1993 da due bambini di 10 anni, Jon Venables e Rob Thompson. Il corpicino mutilato fu trovato 48 ore dopo. Durante le ore del sequestro i tre incontrarono diversi testimoni. Ma, pur vedendo un bimbo ferito che cercava di scappare dagli altri due, nessun adulto intervenne, ndr). E poi da varie storie di bullismo riprese coi telefoni cellulari dai loro autori e scaricate su internet. Il lavoro dell’attore era quello di distillare le informazioni per creare l’improvvisazione che poi diventava la base per la sceneggiatura. Come regista e come direttore artistico, quando tracci il confine con la direzione istintiva che prende un lavoro collettivo? Quando tu, come regista, apparentemente in controllo durante le prove, ti siedi al limite di ciò che è comodo o accettabile? In prova ci sono stati momenti eticamente e moralmente impegnativi. La sceneggiatura per la scena centrale di Food Court è stata scritta da un’unica improvvisazione. Gli attori hanno creato un atto orribile, una persecuzione violenta e sessualmente tesissima. Alla fine tutti sentivano la carica e l’energia nella sala, sapevano che la scena era bella, funzionava, era come un esorcismo, la drammaturgia era solida ma inconsapevole, il contenuto orribile ma del tutto soddisfacente.
Quando Back To Back ha debuttato nel 1987, portare sul palco artisti con disabilità apparve un atto radicale. Pensate lo sia ancora?
SCOTT PRICE — La presenza sul palco di attori con disabilità non dovrebbe essere vista come un atto straordinario o scandaloso.
BRUCE GLADWIN — No, non lo è più. Cerchiamo di realizzare un lavoro radicale spingendo la forma teatrale e sfidando le aspettative del pubblico su ciò che potrebbe ritenere appropriato o tabù. Vale la pena notare che non c’è una rappresentanza sufficiente di persone con disabilità su nessuno dei nostri palcoscenici, ovunque. Il cambiamento è lento.
A quale progetto state lavorando?
SCOTT PRICE — Ad aprile presenteremo in anteprima un nuovo lavoro, Multiple Bad Things, ancora in fase di sviluppo e prove. È la storia di tre lavoratori che affrontano tensioni razziali, di genere e politiche alla fine del mondo. Il nostro team di marketing descrive così lo spettacolo: in un magazzino, tre dipendenti si affrontano in un compito forse inutile. Lottando per lavorare insieme, sono alle prese con questioni di inclusione, identità e intersezionalità. Sono costretti a mettere alla prova i limiti dei loro corpi, della loro cooperazione, della loro capacità di cura. La civiltà deraglia, i cattivi comportamenti si moltiplicano, la realtà si distorce. Per la realizzazione dell’opera, abbiamo invitato nello spazio di progettazione nuove voci. La colonna sonora di Zoë Barry è stata assemblata raccogliendo registrazioni sul campo di cose brutte; il design di Anna Cordingley richiede la partecipazione fisica degli attori. Multiple Bad Things è teatro. Non è reale. Ma in un mondo in cui le voci ipocritamente indignate spesso soffocano chi è più vulnerabile, chi è ai margini, questo teatro a volte sembra reale. Benvenuti nel posto di lavoro alla fine del mondo: i personaggi sul palco stanno solo dando voce a quello che tu hai già pensato.
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