Ferrero, premio Strega nel 2000 con N., scrive da testimone in virtù della sua esperienza come ufficio stampa dello Struzzo. Emerge un ritratto di Calvino capace di mostrare le fragilità caratteriali. Uomo che “viveva chiuso in se stesso” e sempre fedele a una divisa: “Giacche striminzite, pullover grigi o a rombi marroni, cravatte larghe dai colori smorti”. Pessimo guidatore al volante della sua Giulietta Sprint: “Gli ippocastani di corso Umberto sono scortecciati dalle sue improvvide manovre di parcheggio”. A tavola è un mancato buongustaio perché soffre di stomaco: “La sua ghiottoneria resta simbolica”. Nel 1966, in lizza per lo Strega con Le cosmicomiche, non la spunta per la patologica incapacità di procacciarsi favori. Si sente più a suo agio nelle biblioteche. È stato calcolato che la massa delle citazioni riscontrabili in tutta la sua produzione saggistica si aggiri sul milione e mezzo tra autori, artisti, personaggi storici. Inverosimile potesse seguire le orme dei genitori: padre agronomo e madre docente di Botanica.
Proprio il lavoro del padre propizia la sua nascita fortuita a Cuba. Calvino ironizzerà su queste sue radici esotiche per marcare una cesura con certa tradizione: “Chi natali ebbe a Santiago de las Vegas, di Vincenzo Cardarelli se ne fregas”. La famiglia rientra in patria nel 1925 a Sanremo. La sua formazione di adolescente è scandita dalla passione per il cinema e da autori feticcio come Poe, Kipling, Stevenson. Al liceo suo compagno di classe è Eugenio Scalfari, cui lo legherà una storica amicizia. L’età adulta si sovrappone alla guerra partigiana che restituisce nel suo esordio picaresco del 1947 Il sentiero dei nidi di ragno. Sarà la laurea in Lettere con una tesi su Conrad a dirottare il suo destino. Torino diventa il suo baricentro: “La città gli piace perché un po’ gli somiglia, scontrosa, di poche parole”.
Scrive sull’Unità e si impiega alla Einaudi dove rivede bozze e manoscritti, compila bollettini per i librai, scrive risvolti e fascette, tiene i rapporti con gli autori della casa editrice attraverso le lettere (ne scrive più di cinquemila). Tra gli anni 50 e 60 si afferma grazie alla fantastica Trilogia degli antenati. Il medioevo del Visconte dimezzato e del Cavaliere inesistente e il Settecento del Barone rampante non sono “un travestimento, semmai un disvelamento, un modo per rappresentare con più evidenza”. Scrive il Barone mentre infuria la rivolta di Budapest del 1956 che lo allontanerà dal Pci: “Cosimo si ribella ai genitori, Italo si ribella a quella madre-matrigna che è il partito”. Il suo rodimento prosegue con La speculazione edilizia: un ex partigiano rinnega i suoi valori per trasformarsi in uno spregiudicato faccendiere e con La giornata d’uno scrutatore: un intellettuale comunista tra i minorati del Cottolengo vede franare le sue certezze. La svolta della “letteratura combinatoria” negli anni 70 culmina con opere come Le città invisibili o Se una notte d’inverno un viaggiatore che l’amico Salman Rushdie definisce “la più incredibile fiction sulla fiction mai concepita”.
Calvino, che ha la stessa attitudine analitica di Palomar, protagonista del suo omonimo libro del 1983, “nell’ultimo dei racconti si chiede come sarà il mondo senza di lui”. Due anni dopo arriva un fatale epilogo. Impegnato, nel suo buen retiro di Castiglione della Pescaia, a redigere le lezioni che dovrà tenere all’Università di Harvard (da cui Lezioni americane che uscirà postumo nel 1988), il pomeriggio del 6 settembre 1985 “dopo pranzo all’improvviso si porta la mano alla testa e cade a terra”. Dall’ospedale di Grosseto viene trasferito a Siena dove muore il 19 per un secondo ictus. “Un bambino che aveva voluto restare se stesso, sino in fondo”, ha detto la vedova Chichita, “che aveva rifornito di storie, fiabe e apologhi quegli altri bambini, i lettori”.