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8 Novembre 2024Post Covid forti investimenti, poi la gelata della crisi: «Le banche non ascoltano»
Silvia Ognibene
«Questa crisi è deleteria: iniziata nel 2023, si è aggravata nel 2024 e temiamo che continuerà per tutto il 2025. Non possiamo aspettare ancora». Gionata Moroni è il direttore di Assa, consorzio di Santa Croce sull’Arno che riunisce 119 aziende della concia che producono in conto terzi: è il primo anello della pelletteria di lusso e sta cedendo. Lo certificano i numeri messi in fila dal team del professor Gaetano Aiello, docente all’Università di Firenze, al quale Cna ha chiesto di inquadrare lo stato dell’arte. Che è molto preoccupante, soprattutto perché a differenza di altri segmenti della filiera quello della concia ha bisogno di investimenti importanti che sono stati fatti: adesso vanno restituiti i prestiti, ma gli ordini sono fermi e il fatturato in calo costante. «Nel 2022 — spiega Aiello — le imprese hanno recuperato e addirittura superato i ricavi pre Covid del 18%, spinte dall’euforia del mercato. Per stare dietro alle commesse che si pensava restassero su quei volumi hanno investito molto passando dai 4,8 milioni del 2019 ai 13,8 milioni del 2022».
Gli investimenti sono quasi triplicati ma nel 2023 è arrivata la gelata: il fatturato è calato del 12% rispetto al 2022, i margini si sono ridotti passando da due a una cifra. E l’indebitamento è cresciuto: 34 milioni nel 2019, 60 nel 2022 e 59 nel 2023. Sono debiti fatti per investire, ma se adesso le griffe non fanno più ordini è impossibile guadagnare abbastanza per ripagare i prestiti. Oltre due terzi delle aziende interpellate per redigere lo studio hanno dichiarato che si aspettano di chiudere il 2024 con una ulteriore flessione di fatturato: -20% sul 2023. L’occupazione al momento resiste ma, avverte Aiello, «nelle imprese artigiane i numeri vanno presi con le molle: sono spesso aziende familiari e prima di licenziare gli operai restano a casa parenti e i soci».
Il timore è che i licenziamenti arrivino tra la fine di quest’anno e nel 2025. Di certo c’è che il 67% delle imprese già adesso ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. «Con le otto settimane di cassa concesse dal Governo — avverte il direttore di Cna Toscana Luca Tonini — si arriva alla fine dell’anno. E poi, che si fa? Abbiamo chiesto altre 12 settimane in deroga, ma quello che serve è soprattutto un intervento del sistema bancario per la sospensione o la moratoria dei prestiti. Sembra che il governo non ascolti». Le azioni di «moral suasion» verso le banche non hanno avuto esiti apprezzabili. E il tavolo con i committenti della filiera (cioè le griffe) annunciato dalla Regione ormai diversi mesi fa non è ancora stato convocato. «È una crisi di mercato — nota ancora il professor Aiello — come dimostrano le trimestrali dei brand dai quali dipendono le sorti della filiera. Questo scenario si può applicare a tutto il comparto moda».
Un bollettino nient’affatto confortante: nel 2023 Ferragamo ha perso l’8% dei ricavi rispetto al 2022, Kering il 4% (Gucci meno 6%) e nel primo semestre del 2024 la situazione è peggiorata con perdite, rispettivamente del 13% e dell’11% (Gucci meno 20%). Anche i brand che se l’erano cavata l’anno scorso, hanno girato in negativo: Lvmh nel 2023 aveva registrato ricavi in crescita del 9%, ma nel primo semestre 2024 ha ceduto l’1%; Prada era cresciuta del 12% ma nella prima metà del 2024 ha perso il 2%. La luce in fondo al tunnel non si vede.
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