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NUOVO CINEMA MANCUSO
Il talento di Miss Highsmith
Elena Gosalvez Blanco non aveva letto mai una riga di Patricia Highsmith, quando si offrì volontaria per farle da assistente nella casa di Tegna, Canton Ticino. Una valle stretta, poco soleggiata, una manciata di abitanti e una casa moderna disegnata dalla scrittrice medesima. Era andata a pranzo a Zurigo con due amici, Anna e Daniel Keel: lei pittrice, lui proprietario della casa editrice Diogenes, che pubblicava, fra altri, i romanzi di Patricia Highsmith. E cercava una ragazza che parlasse inglese come – diciamo così – dama di compagnia, racconta la Blanco questa settimana sul Guardian.
Highsmith ora è tornata di moda per colpa – o per merito – della serie Netflix intitolata “Ripley”, che adatta il romanzo “Il talento di Mr Ripley”, già portato sullo schermo da Anthony Minghella nel 1999 con Matt Damon e Jude Law. E’ stata una fortunata debuttante: il suo primo romanzo – si intende firmato, un altro era uscito sotto pseudonimo – fu comprato da Alfred Hitchcock per ricavarne il film “Strangers on a train”. Il regista, che era tirchio, lo comprò senza dire chi fosse. Per 7.500 dollari, nel 1950.
La fanciulla stava per cominciare l’università in Spagna, senza obbligo di frequenza, e si offrì per sostituire il domestico dimissionario che intendeva farsi monaco. Non sappiamo se esiste un rapporto di causa-effetto, tra le dimissioni e la vita monacale, ma il sospetto viene. Era stufo, probabilmente, del cubetto di dado per cena, in un po’ di acqua bollente. Con l’arrivo della signorina Elena ne fu aggiunto benevolmente un altro. E così tutte le sere, non era prevista altra cena.
La spesa, da fare in paese, consisteva quasi soltanto in polmone e frattaglie per la gatta Charlotte. Altro cibo in casa non c’era. Miss Highsmith si muoveva nella sua stanza alla luce di una torcia, per risparmiare elettricità. La sua camera era dirimpetto a quella dell’assistente, separata da un cortiletto. La casa aveva una pianta a U – simile a quella di “Sconosciuti in treno”, che invece aveva una pianta a Y.
Maglione sformato e vecchi pantaloni, la grande scrittrice (nel frattempo Elena Gosalvez Blanco aveva cominciato a leggere i romanzi, ricavandone soprattutto un acuto senso di terrore) apre la porta prima che la visitatrice riesca a suonare il campanello. Ha i capelli grigi in disordine, sul tavolino del soggiorno c’è una rivista lasciata aperta alla pagina “i cento migliori scrittori viventi”. Highsmith veniva subito dopo Hitchcock. La domanda per rompere il ghiaccio – si fa per dire – fu “Hemingway le piace?”. La giovane, con il bicchiere pieno di acqua tiepida del rubinetto, prende tempo. Poi pensa: non conosco i suoi gusti, tanto vale dire la verità. E dice: “Non mi piace”. Risposta azzeccata, Miss Highsmith esulta: “Io ODIO Hemingway”. Fine della conversazione.
UNO SCIOPERO A 5 STELLE
di Nessim Chikhaoui, con Corinne Masiero, Marie-Sohna Condé, Maïmouna Gueye
Nel
lussuoso albergo parigino – mai nominato, se no sai quante querele – i ritmi sono frenetici. E le stanze da pulire enormi. Tacendo del cliente che fa trovare papere e paperotti nella vasca da bagno. Per le lavoratrici della ditta che ha in appalto parte del personale, tutto peggiora. Guai se la divisa non è in ordine, se i capelli non sono raccolti in uno chignon ordinato – la poveretta con una figlia apprendista parrucchiera che sperimenta tinture e permanenti viene redarguita ogni volta (finché si compra una parrucca). Nella pausa, i croissant sono razionati. La giovane Eva, in prova, viene messa a lavorare in coppia con la veterana, che subito la guarda storto: mi rallenterà. La diffidenza dura poco, lavoreranno d’amore e d’accordo. Eva aiuta l’amica nei suoi acciacchi, e quando viene sfrattata dalla stanza in affitto – modi bruschi, roba nel corridoio per un mese di ritardo nei pagamenti – in cambio ha un posto dove dormire. Qualcuno resta per le mance esagerate, non più tanto frequenti: appartengono piuttosto alla leggenda. La manifestazione delle precarie viene zittita con la forza. E allora l’idea: fare un sfilata di moda alternativa, perlopiù africana e caraibica, avvertendo la stampa. Siccome la pubblicità è tutto, i capi accettano di incontrare le operaie in sciopero. Da una storia vera, accaduta del 2023. Al gioco “chi è ricco e chi è povero”, guardando i passanti, l’assistente portiere batte tutti.
I FANTASTICI QUATTRO: GLI INIZI
di Matt Shakman, con Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Ebon Moss-Bachrach, Joseph Quinn
La

Farley Granger e Robert Walker in “Strangers on a train” di Alfred Hitchcock, 1951. La sceneggiatura è tratta dal primo romanzo firmato da Patricia Highsmith
Donna Invisibile è incinta. Sembra l’inizio di una battuta, ma non c’è bisogno di chiedersi “chi è stato?” (siamo negli anni 60, i supereroi erano gente perbene con sani valori familiari – e lei lavorerà fino all’ultimo giorno, perché non esistono congedi maternità per chi salva il mondo). Il padre è Mister Fantastic, dalla straordinaria intelligenza, e capacità di allungare qualsiasi parte del corpo. Vivono in una bella casa retrofuturista con il robot Herbie che dovrebbe assistere lo scienziato nei suoi esperimenti e calcoli. All’occasione cucina, per la famiglia allargata che oltre alla Donna Invisibile Vanessa Kirby e al consorte Pedro Pascal comprende la Torcia Umana Joseph Quinn e La Cosa con la faccia pietrosa, ma dotato di forza sovrumana (erano quattro astronauti, investiti dai raggi cosmici). Il robottino ha finito di girare il sugo, i quattro sono a tavola per festeggiare il lieto evento quando arriva la messaggera di sventura. Silver Surfer, l’araldo del terribilissimo Galactus che si mangia i pianeti a uno a uno. E ora vorrebbe l’ultimo ghiotto boccone: il bambino che sta per nascere e i suoi superpoteri. Si chiamerà Franklin, dopo un avventuroso parto sull’astronave in assenza di gravità. Il gadget Usa era un secchiello per popcorn a forma di Galactus, con elmo e corna (10 litri per 80 dollari). Il film è più vivace e ironico di tutti i film del genere supereroico, ormai stanchi, lunghi, e pieni di pretese.
PRESENCE
di Steven Soderbergh, con Lucy Liu, Julia Fox, Callina Liang, Eddy Maday, Chris Sullivan, West Mulholland
Steven
Soderbergh racconta che c’era un fantasma nella sua casa di Los Angeles. Una sera, un’amica che stava badando al gatto dei coniugi Soderbergh vide qualcuno, o qualcosa, che dal bagno camminava verso la camera da letto. Ma in casa era sola. Più tardi i Soderbergh scoprirono che negli anni 80 una donna era morta nella casa, probabilmente suicida. Lo riporta il Los Angeles Times, e a voler essere scettici – citando Shirley Jackson che di fantasmi se ne intende – “in tutte le case vecchie prima o poi è morto qualcuno”. I non scettici battezzano il fantasma Mimì e anni dopo ne faranno un film originale, nel molto battuto genere horror e nel sottogenere “casa stregata”, che in letteratura deve molto a Edgar Allan Poe. Al cinema spesso è guastato dallo svelamento del fantasma, più interessante nelle sue manifestazioni: fa cadere i piatti, o fa crollare gli scaffali. Qui il fantasma che spia gli abitanti della casa, fin da quando arrivano con le loro masserizie, è la macchina da presa. Manovrata da Soderbergh medesimo, che nei titoli compare con lo pseudonimo Peter Andrews. Non è la prima volta che lo fa, ma di solito chi riprende cerca di non farsi notare. Qui invece è un personaggio a tutti gli effetti. Osserva la dinamiche familiari, protegge la figlia adolescente da un moroso che le mette una polverina nel succo d’arancia. La medium consiglia, prima della trance: “Fai scelte intelligenti, quelle stupide ti perseguiteranno per sempre”.
TANNA
di Martin Butler e Bentley Dean, con Marie Wawa, Mungau Dain. Dal 24 luglio è di nuovo in sala in versione restaurata
Giulietta
e Romeo nel Pacifico meridionale. Tanna è il nome dell’isola, nell’arcipelago di Vanuatu, dove vivono i nostri eroi Wawa e Dain. Dain è il nipote del capotribù, Wawa è innamorata e lo segue dappertutto. Dress code: una gonnella di frasche per le donne, i maschi hanno una custodia per il pene, somigliante a una scopetta di saggina – quelle che si vedono nei servizi fotografici di National Geographic sulle tribù perdute. La trama riprende una storia realmente accaduta nel 1987, il film è stato girato nel 2015 – e si vuole festeggiare il decennale riportandolo nei cinema. Girato da due registi australiani, fu candidato dell’Australia agli Oscar 2017. Riprendiamo dalla storia d’amore. Dain ha in testa una coroncina di foglie, a volte sembra perfino alloro, e ricambia l’amore di Wawa: se la ragazza ha qualche compito da svolgere, lui si siede a debita distanza, in pose plastiche. Ma non si può. Il nipote del capotribù deve sposare qualcuno della tribù nemica, per fare pace. Tanto più che i nemici hanno appena aggredito il capo della tribù di Wawa, che portava la di lei sorellina a conoscere il vulcano – la vulcana, scopriamo che è femmina – e a rispettare le leggi. Era un matrimonio combinato anche quello del principe Filippo con Elisabetta, spiegano i vicini missionari. Ma Dain e Wawa non ne vogliono sapere, e hanno già consumato. Con una manciata di funghi avvelenati. Da allora, si dice, le leggi della tribù consentiranno il matrimonio d’amore.