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NUOVO CINEMA MANCUSO
Hacker acchiappa-truffe
“Scam Interceptors” è una serie della Bbc di Nick Stapleton e Mark Lewis. Il primo presenta e il secondo produce la serie, scritta in collaborazione. I due dirigono un gruppo di “ethical hacker” che cercano di intercettare le truffe – o scam – prima che accadano. Insomma, prima che vadano a buon fine, e una signora francese credulona venga truffata per un milione di euro da qualcuno che si finge Brad Pitt.
I truffatori usavano i deepfake – sosia particolarmente raffinati – assieme a dettagli della vera vita di Brad Pitt. Il divorzio, per esempio, per indurre la vittima a credere in una relazione con l’attore. L’AI – che questo giornale ha usato per scrivere degni articoli giornalistici, dichiarati come tali – è anche nelle mani di truffatori che grazie ai social media si costruiscono un finta personalità. Non più mettendo su Instagram la foto del cugino bello e capelluto, ma facendo credere alle malcapitate – o ai malcapitati (c’è stato almeno un caso clamoroso anche in Italia) – di essere in corrispondenza d’amorosi sensi con gente famosa. Ma perché Brad Pitt dovrebbe scrivere proprio a te? E’ una domanda che le ragazze non si fanno, figuriamoci i maschi che non dubitano mai del loro fascino.
Sostengono i due smascheratori di truffe, che nell’ultima puntata in onda dello show (ripresa su “The Guide”, supplemento del Guardian) si sono spacciati per Donnie Brasco e si sono infilati nei gruppi dove i truffatori si nascondono. Nomi di prima classe, non ha senso fingersi il vicino di casa. I due si sono iscritti al Fan Club di Reese Witherspoon, e dopo pochi minuti sono stati sommersi da messaggi “Real Reese Witherspon”, o “Reese Witherspoon Private Account”, fino al più amichevole “Hello Sweetheart”.
Il truffatore, continuando a fingersi l’attrice di “Legally Blonde”, ha inviato foto della diva modificate in modo da includere la patente, elencando una lista di impegni cinematografici. I messaggi erano diventati tanto frequenti da far attendere un messaggio sul telefono. Puntualmente arrivato. E se fosse proprio lei?
Era un’intelligenza artificiale che non sa fare bene la fossetta sul mento (ma prima o poi ci arriva). Primo segno di scam, e prima norma di prudenza (come avere 47 password – vabbè di questo parliamo un’altra volta). Osservare attentamente, non di sfuggita, come spesso capita. Guardare bene la grana della pelle – il motivo per cui John Lasseter fece il suo primo film con la palla e la lampada. Osservare il doppiaggio e il movimento delle labbra. Anche il batter di ciglia, se gli occhi “sono spalancati come quelli di uno squalo morto” tanto bene non va. La voce fatta a macchina è piatta, senza modulazioni. Ultimo consiglio: tutto questo vale oggi. Domani, dopodomani al massimo, sarà tutto superato.
LA GAZZA LADRA
di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan
Siamo
sempre a Marsiglia, e sempre a L’Estaque. Luogo caro ai pittori, e ancor più caro a Robert Guédiguian, sempre accompagnato dai suoi attori: la consorte Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan – magari non sapete tutti i nomi, le facce vi saranno familiari. Guédiguian ha girato tutti i suoi film tra questi vicoli e queste casette affacciate sul mare – vicinissime a Marsiglia, ma ancora con la struttura del villaggio (e un mare da sogno, non di soli tramonti vivono i pittori). La gazza ladra del titolo è Maria, cameriera e badante per molti anziani. Fa la spesa, le pulizie, cucina, chiacchiera. Son tutti un po’ male in arnese. Un marito è preoccupato per la moglie svanita, ancora attende il primo amore deportato dai nazisti. Un anziano è costretto in carrozzella, ma lo spirito non ne vuole sapere. Una signora ha solo il cane per compagnia. Neanche Maria è messa tanto bene, il consorte è senza lavoro e si gioca i pochi soldi che entrano in famiglia. La figlia fa la cassiera, il nipotino con l’orecchio per la musica viene considerato un enfant prodige.
Così cominciano i debiti. Il pianoforte costa, le lezioni private pure. servono per prepararsi al concorso che gli farà ottenere la borsa di studio. Tutti ne sono convinti. Maria fa la cresta sui soldi della spesa, falsifica un assegno. Oltre ai soldi destinati al nipote futuro pianista (crede lei) si concede un piatto di ostriche alla settimana – e qui merita l’applauso.
BLACK BAG – DOPPIO GIOCO
di Steven Soderbergh, con Cate Blanchett, Michael Fassbender, Naomie Harris
Diceva
Giorgio Manganelli: “Se a un coniuge succede qualcosa, il primo sospettato è l’altro coniuge; il che la dice lunga su quel che la gente pensa del matrimonio”. Siamo già oltre, rispetto a quel che si può o non si può dire senza rischiare l’espulsione dalla buona società – ma è chiaro che, se andiamo avanti così, l’AI ci sopravanzerà anche in materia di umorismo. Figuriamoci quando i coniugi sono spie di professione. Eleganti, londinesi, sempre impegnati in delicate missioni (se no ricevono i colleghi nella loro elegante magione). La fuga di notizie riguarda un software che dovrebbe restare segretissimo, nome in codice Severus. Nella lista degli agenti sospettati, George Woodhouse (Michael Fassbender) trova anche sua moglie Kathryn. Organizzata la cena, presenti tutti i sospettati – e anche in questo caso, sono altre due coppie di fidanzati tutti più o meno implicati nello spionaggio – un aiutino nel cibo dovrebbe abbassare le inibizioni e smascherare il traditore. Non son più le spie di una volta, tutti a cena insieme e polverine della verità e domande al vicino di tovagliolo. Ma a Soderbergh interessano le atmosfere, non la trama. Interessa Cate Blanchett da vestire elegante, in un ruolo che dovrebbe ricordare Grace Kelly – ma con i capelli castani, la spia bionda si nota troppo. Aspettiamo intanto “Presence”: l’horror, già uscito, che da noi arriverà in estate. Tutto girato dal punto di vista del fantasma.
STORIA DI UNA NOTTE
di Paolo Costella, con Anna Foglietta, Giuseppe Battiston, Stefania Casini
Perdere
un genitore è sfortuna, perderne due è distrazione”. Era quella malalingua di Oscar Wilde, e naturalmente parlava di costruzione drammaturgica – non della vita che può fare scherzi anche peggiori. In un film può succedere qualsiasi cosa, abbiamo tutti pianto guardando “Manchester by the Sea” di Kenneth Lonergan: per la disgrazia dell’incendio provocato da Casey Affleck mentre era ubriaco, ma soprattutto per il modo di arrivare alla rivelazione – ormai avevamo immaginato ogni sciagura possibile. A far la differenza è il modo di raccontare la storia. “Storia di una notte” (tratto dal romanzo di Angelo Mellone intitolato “Nelle migliori famiglie”) lavora investendo lo spettatore con un primo choc. Il figlio maggiore di Anna Foglietta e Giuseppe Battiston (matrimonio contrastato dalla famiglia di lei) muore in un incidente, era uscito in motorino. Denis e Sara, gli altri due figli, vogliono tenere la famiglia unita e organizzano un fine settimana nello chalet dei nonni materni. A Cortina d’Ampezzo, e questa volta è il figlio Denis che si fa male, sciando. D’urgenza in ospedale, potrebbe non riprendersi. La famiglia rivive la prima tragica notte. Lo spettatore pensa che sia un po’ troppo. Una tragedia, e poi un altro colpo che pure potrebbe essere fatale. Nessuno però impreca, alza la voce, piange, dà qualche segno esteriore di un dolore che potrebbe diventare insopportabile. Attendono con calma l’esito della nottata.
UNTIL DAWN – FINO ALL’ALBA
di David F. Sandberg con Ella Rubin, Odessa A’zion
Le
mille e una morte” era il titolo di un racconto di Jack London, il miserabile protagonista veniva ucciso e poi rianimato, e poi ucciso e di nuovo rianimato (una faccenda edipica, ma non serve saperlo). E’ il meccanismo di “Until Dawn”, tratto (derivato? adattato? nato da una costola?) di un videogioco. Con le opportune modifiche, perché al cinema siamo in balìa delle scelte del regista, non possiamo salvare un certo personaggio dal maniaco se la scena prevede che muoia tra atroci tormenti. Videogioco per videogioco, “Until Dawn” è più attraente di “Minecraft”: non si contano le volte che abbiamo visto il trailer, con l’ape squadrata gigantesca, e ogni volta ci siamo chiesti “ma perché?”. L’assetto variabile del gioco “Until Dawn” viene riprodotto con un meccanismo da “giorno della marmotta”. E’ trascorso un anno dalla scomparsa di Melanie, la sorella di Clover, che con il gruppo di amici torna nella valle dove la ragazza è sparita, rimane solo un centro visitatori abbandonato. Non sono soli. Una minacciosa presenza li uccide a uno a uno – come succede nelle storie di paura più classiche. Ma poi si risvegliano, nello stesso luogo di terrore, e rivivono la stessa notte orribile, con lo stesso incubo – o altri pericoli di morte atroce. Faticoso, ma non è tutto. Capiscono che non torneranno in vita per sempre. C’è un numero di “resurrezioni” limitato. Per salvarsi devono riuscire a sopravvivere fino all’alba. Ma come? Melanie non c’era riuscita.