
Walk on By
10 Maggio 2025
La mia fede mi insegna il rispetto, non il divieto
10 Maggio 2025NUOVO CINEMA MANCUSO
Registe tra Roma e Cannes
Qualche giorno fa i David di Donatello hanno premiato per la prima volta una regista, Maura Delpero. Il suo film “Vermiglio” ha avuto sei altri riconoscimenti. Montagna, neve, gli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, un bravo maestro di scuola, un soldato disertore. Per giunta già impegnato, laggiù in Sicilia, dove neanche si capisce come parlano (vero) e i ragazzini giocano sul sagrato della chiesa con scarpe di cuoio e calzettoni al ginocchio (assai improbabile, scarseggiavano anche le mutande).
Martedì prossimo il Festival di Cannes 2025 aprirà con il primo lungometraggio diretto da una regista, Amélie Bonnin. Ha studiato sceneggiatura alla Fémis, grafica a Parigi e a Montréal, partecipa alla rivista intitolata la Déferlante – sottotitolo: “La rivista delle rivoluzioni femministe”. Titolo: “Partir un jour”. La storia di Cécile, interpretata dalla cantante Juliette Armanet: sogna di aprire un ristorante a Parigi, e invece deve tornare al paesello dove ha trascorso l’infanzia perché il padre ha avuto un infarto. In musica, ritrova il primo amore. E si sa che ai ricordi basta niente per ripresentarsi. Pare un po’ la serie “The Bear”.
E’ fuori concorso, ma l’onore dell’apertura – e l’omaggio al film di Alain Resnais “On connaît la chanson” – basta a incuriosire, e parecchio. Dopo anni di “quante donne registe in concorso?” il direttore Thierry Frémaux ha deciso di mettersi al riparo. Juliette Binoche è presidente della giuria, c’è il solito comitato di vigilanza: “Comportatevi bene, non allungate le mani”. Se succede qualcosa, bisogna trovarlo dentro i film, esistono registi e registe propensi a mostrare un po’ di carni, pure in pessimo stato. Ricordiamo ancora l’orribile David Cronenberg, con i suoi sudari e le scene di sesso oltre la vita – “The Shrouds” sta per “sudari”.
Tom Cruise arriverà sulla Croisette – come annunciato da decine e decine di manifesti – per lanciare “Mission: Impossible – The Final Reckoning”. Insomma, la resa dei conti finale. Poi lo spegneranno, lo ripiegheranno, lo metteranno via per le prossime generazioni. Avremo il sempre poco conciliante Spike Lee con “Highest 2 Lowest”: in conferenza stampa non ha sentito pronunciare il suo nome e il suo titolo e ha provveduto da solo, via Instagram.
“The Phoenician Scheme” di Wes Anderson è il titolo più misterioso, anche perché ricorda “The Manchiurian Candidate”. Lo tradurranno “La trama fenicia”, che non risolve granché. Sicuramente il regista ha già prenotato il pullman per arrivare sulla Croisette: a bordo Benicio del Toro, Tom Hanks, Michael Cera, Scarlett Johansson. Che poi avrà diritto alla limousine come regista di “Eleanor the Great”. La sua attrice June Squibb ha 95 anni.
IL QUADRO RUBATO
di Pascal Bonitzer, con Alex Lutz, Léa Drucker, Nora Hamzawi, Louise Chevillotte
Il
sogno di tutti i critici d’arte. Di tutti i curatori di musei. Dei sognatori che pensano di fare soldi con la crosta che sta in cantina. André Masson, banditore presso la casa d’arte Scottie’s, riceve una lettera che dice: “Guardi che abbiamo ritrovato un quadro di Egon Schiele, quello con i girasoli”. Era scomparso dal 1939, saccheggiato dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Rivede la luce del sole – si fa per dire – in casa di un operaio chimico di Mulhouse, nell’est della Francia. André Masson è scettico, ma vuol fare lo stesso un tentativo, assieme all’ex moglie e ora collega Bertina. Contro ogni previsione, il quadro è vero. La bella favola potrebbe finire qui. Ma non sarebbe un film, sarebbe una notizia sul giornale. André scopre di avere un concorrente misterioso, che ancora più misteriosamente gioca al ribasso. Nel gioco entra anche Aurore, una stagista piuttosto furba. Le due donne giocano una contro l’altra, mentre il proprietario è quasi spaventato dal can-can mediatico. L’imbroglio può essere portato avanti a fin di bene? E siamo sicuri che, con i potenti mezzi di datazione scientifici, il quadro di Egon Schiele riesca a passare la prova? Dura un’ora e mezza, la lunghezza perfetta per un film. E ci sta tutto. Il mercato dell’arte. I suoi imbrogli. Le fissazioni. Le vendite all’asta. I quadri che non interessano a nessuno, paiono robivecchi e invece sono capolavori dell’arte.
THUNDERBOLTS*
di Jake Schreier, con Florence Pugh, Lewis Pullman, Sebastian Stan
Badate
all’asterisco. Siamo – se non abbiamo trascritto male – al capitolo numero 36 del MCU, Marvel Cinematic Universe, ultimo titolo della Fase Cinque. Anche se a memoria ricordate tutti i titoli precedenti, dovete sapere – e sicuramente già saprete – che il significato dell’asterisco verrà svelato durante il film. Un mischione di personaggi già visti in “The Falcon and the Winter Soldier” (la serie tv) e nel film “Black Widow” (Scarlett Johansson fa da produttore esecutivo). Appassionante, vero? Mica tanto se siete fuori dalla fascia di età, e gli altri saranno già gasati in vista della Fase Sei. Certo che non stiamo scherzando, è attesa per l’estate, il programma è fatto fino al 2027. Per chi non è ancora stanco, o non è fuori dalla fascia di età, o punta al collezionismo – saprà allora che il film ha su Rotten Tomatoes 87 per cento di giudizi positivi. Non siamo in target, e anche se ci sono scene riuscite, soprattutto nella seconda parte del film – che si guardano senza scalpitare (sarà anche che di recente abbiamo visto parecchi supereroi che univano la noia alla prevedibilità). L’ultima mutazione di Hulk, dal verde ramarro al rosso rabbia, partendo da Harrison Ford, per l’occasione presidente degli Stati Uniti, era un punto per niente appassionante. Gli ultimi a fare incassi decenti sono stati “Deadpool & Wolverine” di Shawn Levy, almeno garantivano un po’ di comicità. Quanto a salvare la terra, era già in pessime condizioni. Potevano battibeccare in pace.
BIRD
di Andrea Arnold, con Barry Keoghan, Nykiya Adams, Franz Rogowski, Jason Buda
Famiglia
britannica in una casa occupata nel nord del Kent. Ma potrebbe essere in altri posti della terra. La ragazzina Bailey ha 12 anni, assai più responsabile di suo padre, del resto poco più grande di lei:
Nella sezione Un Certain Regard, al Festival di Cannes verrà proiettato “Eleanor the Great”, debutto alla regia di Scarlett Johansson, con June Squibb, 95 anni l’attore Barry Keoghan, che poi vedremo in “Saltburn” (di passaggio, una delle già belle e compiute sceneggiature viste negli ultimi tempi, la classica storia servo-padrone adattata ai tempi nostri e al college, scritta e diretta da Emerald Fennell). Gira, cammina, va a curiosare, come se cercasse un posto giusto per lei. Andrea Arnold gira spesso con la macchina a mano, il senso di instabilità aumenta nelle strade a est di Londra: viali stretti e campi dove pascolano i cavalli. Bailey scappa, anche dal padre. Quando torna a casa, trova il genitore-ragazzino deciso a sposarsi, e a mantenersi con un rospo bavoso (dicono che sia un toccasana per certe malattie). Bailey continua nei suoi vagabondaggi, e incontra uno strano personaggio, che forse non esiste, o si mostra solo a lei. Passa il suo tempo sui tetti, è abbastanza bizzarro, ma non è peggio di ciò che la ragazzina ha intorno. In vista del matrimonio Bailey si taglia i capelli, facendo arrabbiare i padre (che è tutto tatuato, ma ha un’idea di perfezione sua). Ha sempre il cellulare in mano, fotografa gli uccelli e li usa come messaggeri. La svolta fantastica è inedita per Arnold, che aveva dedicato il suo ultimo film a una magnifica mucca: “Cow”. Senza barare, annunciava quel che ci sarebbe toccato.
QUEER
di Luca Guadagnino, con Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman, Leslie Manville
Lo
aspettavamo dalla Mostra di Venezia, e anche da prima; poi lo abbiamo visto con molto godimento, ma al momento di consigliarlo è sparito dai calendari. Perché adesso, e non mesi fa, non lo sapremo mai. Sono misteri poco gloriosi: un po’ di timore – il film è esplicito, ma quel tanto che era necessario per giustificare una passione carnale, laggiù nel Messico degli anni 50. Ricostruito a Cinecittà da Stefano Baisi, con meraviglioso effetto straniante: nei film realistici sombreri e mariachi sono sempre un po’ da cartolina, e allora tanto vale che ci sia veramente la cartapesta (si fa per dire, nessuno si offenda: il risultato è magnifico). Timore per il ristretto richiamo di un film intitolato “Queer”, che ora sta anche sulla copertina di Adelphi, dopo un “checca”, che pareva più timido: il fatto è che nei decenni cambiano anche gli eufemismi – e ora a dire “Queer” certo non viene in mente l’ex James Bond Daniel Craig. Sudaticcio, non sempre in sé, entra perfettamente nel ruolo: un americano all’estero (un po’ per amore un po’ per forza, aveva ucciso la moglie giocando a Guglielmo Tell, in una serata molto alcolica con una balestra vera). Innamorato perso di un giovanotto bello e sexy che un po’ si concede e un po’ no – fanno un patto settimanale. Prendono l’ayahuasca, che non libera affatto la mente: l’esercito americano la sperimentava per il lavaggio del cervello.