Golino fa il bis con Goliarda
I soliti noti che ritroviamo di festival in festival. A Cannes, che prenderà il via il prossimo 13 maggio, c’è Mario Martone, al quarto film presentato sulla Croisette, dove quest’anno a capo della giuria c’è Juliette Binoche. Titolo: “Fuori”, dal romanzo di Goliarda Sapienza, con Valeria Golino che fa il bis: aveva già girato, con molto successo – più fedeltà del “Gattopardo” alla Sicilia pietrosa e impolverata dell’epoca – “L’arte della gioia”.
Il romanzo di Goliarda Sapienza raccontava la vita di una ragazza poverissima e intelligente, che si fa strada contro tutti: i maschi, i padroni, i proprietari terrieri. Il contrario del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e del film di Luchino Visconti: aristocratici che sentono arrivare la fine e capiscono che non c’è rimedio. Si affideranno a Tancredi, soldato di Garibaldi e seduttore. “Fuori” di Mario Martone è finora l’unico titolo italiano, nel concorso principale. E’ sempre Goliarda Sapienza a fornire il materiale, qui più autobiografico. La scrittrice finisce in carcere per un furto di gioielli sconsiderato, e fa amicizia con le giovani detenute.
I giovani registi si fanno largo, e conquistano la sezione “Un Certain Regard”, annunciati da Thierry Frémaux come gli eredi del grande cinema italiano. Abbiamo “Testa o croce?”, il western di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, che segue le tappe italiane del viaggio di Buffalo Bill e del suo spettacolo. “Le città di Pianura” diretto da Francesco Sossai è un road movie con due spiantati sui 50 anni che inseguono l’ultimo bicchiere. Ma ogni volta riescono a smaltire la sbronza e devono berne un altro.
Come da tempo si sussurrava, ci sarà Wes Anderson, con la commedia nera “The Phoenician Scheme”: i fenici ancora non sappiamo cosa c’entrino, ma “scheme” sta per imbroglio o truffa. Con il solito cast di prima classe: Benicio del Toro, Bill Murray, Tom Hanks, Charlotte Gainsbourg. Commedia nera anche per Ari Aster (speriamo che segni la fine dei festival dove non scappa mai una risata). “Eddington” è un western contemporaneo con Joaquin Phoenix, Emma Stone e Pedro Pascal.
I fratelli belgi Dardenne, garantito, ci faranno versare una lacrimuccia con “Jeunes mères”: un centro di accoglienza per giovani madri, già cresciute in circostanze difficili. Ci sarà Julia Ducournau, Palma d’oro nel 2021 con “Titane”. Spike Lee invece ha protestato per essere rimasto fuori con “Highest 2 Lowest” (forse sarà fuori concorso, ma ieri Thierry Frémaux non lo ha nominato).
Gran sorpresa per il film d’apertura: non un venerato maestro, non un attore di Hollywood che si porta dietro un blockbuster. Apre una regista al primo lungometraggio: Amélie Bonnin, con “Partir un jour”.
SOTTO LE FOGLIE
di François Ozon, con Hélène Vincent, Josiane Balasko, Ludivine Sagnier
Super
cast e super incassi in Francia per l’ultimo film di François Ozon, genere giallo con vecchiette e funghi avvelenati. Nonna Michelle vive in un piccolo villaggio della Borgogna, assieme all’amica Marie-Claude. Aspetta l’arrivo del nipote Lucas, che viaggia con la mamma Ludivine Sagnier. A prima vista, sembrerebbe un racconto educativo, nel senso della micologia: se non siete più che esperti, portate il raccolto a controllare prima di cucinarlo e servirlo a tavola. Michelle raccoglie funghi velenosi e a mangiarli è la figlia Valerie. Fuori tempo, non invitato, si presenta il figlio di Marie-Claude, appena uscito di prigione. Ozon è sempre dove non lo cerchiamo, da qualche film sembra interessato ai delitti: “Mon crime – La colpevole sono io” era un classico teatrale degli anni Trenta (aveva già avuto due adattamenti al cinema, dai titoli più che espliciti: “La moglie bugiarda”, nel 1937 e “Bionda fra le sbarre” nel 1945). Meno originale di “Sitcom”, il suo geniale debutto nel 1998. Meno deprimente di “Sotto la sabbia”. Meno ideologico di “Una nuova amica” con Romain Duris vestito da donna. “Sotto le foglie” usa magnificamente le sue attrici, con il cestello di funghi sottobraccio. Humour nero e aria svampita, in certe scene pare di vedere Alfred Hitchcock in “La congiura degli innocenti” con Shirley MacLaine: un cadavere nel bosco che a turno viene seppellito e disseppellito. Ognuno è convinto di averlo ammazzato lui.
A WORKING MAN
di David Ayer, con Jason Statham, David Harbour, Jason Flemyng
Per
noi che abbiamo scoperto Jason Statham nel film di David Ritchie – quelli più pazzi, come “Lock & Stock. Pazzi scatenati” – ritrovarlo comodo e sdraiato sul divano nella pubblicità del cachemire ultrafine di Falconeri fa un certo effetto (accanto a lui, la consorte Rosie Huntington-Witheley). Fa un certo effetto anche trovare il nome di Sylvester Stallone come co-sceneggiatore. Assieme al regista David Ayer di “Suicide Squad”, con Jared Leto nella parte di Joker e Margot Robbie come Harley Quinn. Nel primo clamoroso contagio medico- paziente registrato dal cinema, per non lasciare nulla al caso c’era anche una Strega Incantatrice: era il 2016, al “Joker” di Todd Philips premiato con il Leone d’oro a Venezia mancavano 3 anni. Viene da un romanzo – che non abbiamo letto, né abbiamo intenzione di farlo, considerati i libri da smaltire sulla scrivania, di generi a noi più graditi – “Levon’s Trade” di Chuck Dixon. Levon era un agente delle operazioni speciali, in forza ai Royal Marines. Ora però ha smesso e fa l’operaio sui cantieri. Quando però rapiscono la figlia del capo, una ragazza che si chiama Jenny, e la banda traffica in esseri umani, riprende servizio. Sono lavori a doppio risultato: la fanciulla torna a casa, e intanto viene sgominata la banda dei trafficanti, che ha a che fare con agenti governativi corrotti. 40 milioni di dollari spesi in indagini e inseguimenti. 67 milioni incassati. Nessun pulloverino di cachemire si è fatto male durante le riprese.
SENZA SANGUE
di Angelina Jolie, con Salma Hayek, Demián Bichir, Juan Minujìn
Dal
romanzo di Alessandro Baricco, periodo astratto. Per distinguere queste poche pagine dall’elaborata costruzione di “Oceano Mare” e dalla vitalità di “Castelli di rabbia”. “Senza sangue” racconta una guerra senza none, in un paesaggio senza nome, tra nazioni senza nome. Forse è solo una faida tra famiglie, di cui non sappiamo niente. Il che pone qualche problema: la guerra è brutta e cattiva, la gente muore, i bambini restano orfani, ma a vederla così sembra che le due parti in conflitto siano alla pari. Eppure, anche nei litigi tra bambini, la prima cosa che la maestra chiede è “chi ha cominciato?”. Con un paio di guerre in corso, il dettaglio non è secondario. E’ il pacifismo che non distingue le parti in causa, poi celebra la Resistenza italiana trascurando lo sbarco in Normandia degli Alleati. Di Angelina Jolie regista ricordiamo “Nella terra del sangue e del miele”, più che dignitoso. E purtroppo si è fissato nella memoria il patetico tentativo di rifare l’esistenzialismo francese, in “By the Sea”, con l’ex consorte Brad Pitt (matrimonio da favola, ville da favola, figli partoriti in Costa Azzurra, e poi una litigiosa separazione). “Senza sangue” comincia con l’irruzione di un commando nella fattoria del medico Manuel Roca. Si salva solo Nina, la figlia piccola, che riesce a nascondersi. Tremenda vendetta, alla Tarantino, quando sarà grande. O forse no. Resta vivo Tito, si vedono in un caffè e parlano del senso della vita.
EDEN
di Ron Howard, con Jude Law, Vanessa Kirby, Daniel Brühl, Sydney Sweeney, Ana de Armas
Iparadisi
sono interessanti perché prima o poi spunta un serpente. Date retta a James Ballard: le comunità armoniose e decise a tener lontano il male non esistono. Se n’è accorto anche Ron Howard, penultimo film “Elegia americana”, tratto dalla fatica letteraria del vicepresidente J.D. Vance. “Eden” è thriller storico in un’isola remota, “i personaggi che diventano più sgradevoli di minuto in minuto”, scrive Variety. Promettente, anche per aggiornare la lista dei personaggi negativi. Ron Howard ha raccontato di aver scoperto la vicenda mentre era in vacanza con la famiglia alle Galápagos, dando a Noah Pink l’incarico di scrivere la sceneggiatura. Nella Germania di fine anni venti, il dottor Friedrich Ritter (Jude Law) e la moglie Dora Strauch (Vanessa Kirby) partono da Berlino per trovare rifugio nella nella remota isola e deserta isola di Floreana, a sud delle Galápagos. Friedrich Ritter ripudia la religione e i valori familiari. I suoi scritti provocano un certo brivido tra i radical chic – le radical chic – dell’epoca. In sintesi: l’umanità era spacciata. Arrivano nel 1932 anche Heinz e Margret Witmmer, accompagnati dal figlio Harry. Male accolti dai primi arrivati. Alle due famiglie si aggiunge una baronessa, pure ricca. Siamo già in zona “Signore delle mosche”: i ragazzini naufragati sull’isola deserta, organizzati in una società egualitaria e per nulla pacifica. Si inchinano al “Signore delle mosche”. Una testa di maiale mezza putrefatta.