ROMA — Attendista. Silente. Ma soprattutto: in una posizione scomoda. Giorgia Meloni sperava di giocare una partita diversa con Donald Trump. Sui dazi, soprattutto. E sull’Ucraina. Puntava a diventare fin da subito l’europea capace di parlare con la Casa Bianca, senza intermediari. Il ponte. La premier non rinuncia all’obiettivo, ci crede ancora, ma per il momento deve gestire un dato di realtà: il tycoon sta colpendo l’Europa, senza troppe distinzioni. Cerca di disarticolarla, a volte mortificandola. E così, la presidente del Consiglio ha dovuto compiere nelle ultime ore alcuni passi informali, quasi obbligati. Ad esempio, ha comunicato alla Commissione europea che l’Italia sarà compattamente al fianco di Bruxelles nella reazione alle barriere doganali imposte da Washington. «Ai dazi si risponde con i dazi».
Un concetto, questo, che la presidente del Consiglio ha condiviso con Ursula von der Leyen. Non era scontato lo facesse. Anzi, nel corso dell’ultimo Consiglio europeo, lo scorso 3 febbraio, Meloni aveva contestato alcuni colleghi – Emmanuel Macron in particolare – che con questo stesso slogan reclamavano reazioni uguali e contrarie verso gli Stati Uniti. «Trump è un negoziatore la tesi meloniana durante il summit – e sarebbe un errore scegliere la strada del muro contro muro». E invece, almeno in questa prima fase e per reagire ai dazi americani, sarà proprio muro contro muro.
A Palazzo Chigi, come alla Farnesina e al ministero dell’Economia, si pesano i possibili scenari delle barriere doganali. I mercati che rischiano di più e quelli che non destano particolari allarmi. Ad esempio, dazi del 25% sull’acciaio e l’alluminio non preoccupano troppo: in passato è già successo, proprio con Trump, e il settore ha retto. Semmai, il timore del governo è che dazi simmetrici degli Stati Uniti verso l’Europa possano mettere in ginocchio alcune filiere care a Roma. Sembra invece affievolirsi la speranzache l’”amicizia” di Trump, quella che Meloni ha tentato di rafforzare volando prima a Mar-a-Lago e poi addirittura all’Inauguration day a Washington, possa rendere strabico l’approccio del Presidente americano verso l’Ue, preservando in qualche modo l’export italiano.
Meloni, comunque, aderirà alla reazione promessa da Ursula e sostenuta da Macron. Deve difendere i mercati italiani e non apparire troppo schiacciata sul repubblicano (soprattutto dopo lo strappo all’Onu nel documento sulla Corte penale internazionale). Dopodiché, continuerà a spendersi per trattare. E si riproporrà come mediatrice.
C’è una data cerchiata di rosso: il 24 febbraio. Quel giorno dovrebbe tenersi una videoconferenza dei leader del G7, in occasione dell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina. In quella sede, Meloni intende affrontare anche il nodo dei dazi, spendendosi per un accordo. Ma è chiaro che quel summit sarà monopolizzato soprattutto dalla trattativa tra Usa e Russia per chiudere il conflitto ucraino.
È l’altro grande punto di frizione tra le due sponde dell’Atlantico. Il dossier che forse più di tutti mette in difficoltà Meloni. La premier si è a lungo spesa per le ragioni di Kiev. Con l’avvento di Trump, ha ovviamente sfumato alcune posizioni. Si aspettava un segnale dalla nuova amministrazione, che non è arrivato (la missione europea del generale Kellogg è stata ridotta al minimo e non passerà da Roma). Ma il problema, ormai, investe l’Europa nel suo complesso.
Nelle cancellerie Ue c’è il fondato sospetto che il tycoon abbia davvero deciso di imporre una pace ingiusta all’Ucraina. La reazione di mezzo continente sarebbe furiosa. E l’altra metà, che include l’Italia, non potrebbe sfilarsi.
Ne hanno discusso nelle ultime ore la premier e Antonio Tajani. Concordando su un punto: non si può rompere l’unità continentale. Anche perché Roma si ritroverebbe isolata nel continente e oltreoceano. Il ministro degli Esteri l’ha spiegato ancora ieri, prima di partire per il vertice di Monaco: «Ogni passo nel percorso di pace è positivo. E dunque, bene il dialogo avviato tra Trump e Putin. In questo processo, però, l’Europa deve ricoprire un ruolo centrale, da protagonista. Dobbiamo essere uniti».
Certo, la presidente del Consiglio ribadirà ancora che non può essere l’Ue a sostenere da sola – e senza Usa – la battaglia di Kiev. Che bisogna continuare a parlare con Trump (Roma medita di invitarlo alla conferenza sulla ricostruzione in Italia). Ma se davvero Trump volesse “scaricare” gli ucraini, Meloni resterebbe ancorata all’Unione, a costo di scontentare Matteo Salvini. Soprattutto se Washington non assicurerà un punto essenziale: le garanzie di sicurezza per Kiev.