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26 Novembre 2022
di Massimo Franco
La diffidenza con la quale i berlusconiani aspettano il prossimo colloquio tra Giorgia Meloni e Carlo Calenda è significativa. Quando il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, di FI, evoca il «cavallo di Troia», additando un leader di Azione pronto a entrare di nascosto nel campo del governo, parla alla premier. Le dice di non fidarsi. E tradisce la preoccupazione di una porzione della maggioranza, che si sente debole e esposta alle incursioni avversarie. Calenda non fa nulla per attenuare questa impressione. Vede «uno smottamento politico» di qui a marzo. E si candida a sfruttarlo a proprio vantaggio. Ma il tema riguarda forse più le opposizioni che la coalizione di Meloni: almeno nel breve periodo. La prima incognita, forse la maggiore, è il congresso del Pd in programma tra febbraio e marzo. Pochi prevedono che il partito di Enrico Letta ne riemergerà più unito. Anzi, molti cominciano a pensare che sancirà una divisione in più tronconi, chiunque sia il o la leader. Basta registrare l’aggressività di un asse Azione-Iv che già si smarca dalla definizione di centrosinistra. E si candida a rifugio degli scontenti di ogni schieramento. E, sul fronte opposto, l’attivismo spregiudicato di Giuseppe Conte e di un M5S che tende a dettare condizioni al Pd anche in Lombardia, dove ha percentuali basse. Ma l’area dell’incertezza potrebbe allargarsi alla destra, se le elezioni regionali dovessero accentuare lo scarto tra i numeri di FdI e quelli di Lega e FI. Non tanto da far vacillare il governo, ma abbastanza per acuire le tensioni interne. Per questo, in apparenza il 25 settembre ha stabilizzato la situazione. C’è una maggioranza politica chiara che ha vinto. E c’é una nebulosa sconfitta che promette di sfrangiarsi ulteriormente. Dietro questo simulacro di stabilità, tuttavia, si moltiplicano i segnali che mostrano un sistema in evoluzione; ed equilibri che si stanno ancora assestando, senza avere trovato un assetto definitivo. Non è chiaro che cosa potrà accadere se la Lega esce ulteriormente ridimensionata nel voto locale a Nord. Né che effetto avrà il conflitto che sta lacerando Forza Italia. Al momento, unica beneficiaria di questa incertezza trasversale appare la premier con il suo partito, che cresce nei sondaggi: sebbene la concentrazione delle decisioni a Palazzo Chigi e la gravità dei problemi alla lunga possano mostrarne i limiti. Poi ci sono quelli che si candidano a sfruttare la crisi altrui: Calenda e Conte. Ma si tratta di manovre fondate su calcoli tutti da verificare nel medio periodo: la volatilità elettorale è un problema comune. Sono i primi passi della traversata nel deserto di chi, dopo avere perso il potere, non sa né come né quando lo riavrà.