Il ministro dell’Economia in audizione alla Camera prefigura un veto italiano in vista dell’Eurogruppo di domani e della cena con i leader europei per riscrivere le regole di Maastricht: “A queste condizioni non possiamo dire sì”
ROMA — No a regole «troppo stringenti ». No a impegni «impossibili da mantenere». No al nuovo Patto di Stabilità, se «ostacola la crescita ». Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in audizione parlamentare, lo dice chiaro: «È vero che tornare al vecchio Patto sarebbe addirittura peggio. Ma non possiamo accettare tutto, contro gli interessi del Paese. Non credo che per serietà, a queste condizioni, si possa dire sì».
L’Italia è dunque pronta a giocare anche la carta del veto, quando domani e venerdì i ministri finanziari europei torneranno a parlare della riforma del Patto Ue prima all’Eurogruppo e poi all’Ecofin, cercando un accordo che al momento pare lontano. Hanno bisogno di fatto dell’unanimità, fa notare Giorgetti. E dal coro potrebbe sfilarsi Roma.
L’Italia noncontesta – non potrebbe farlo con i conti pubblici che ha – la necessità di vincolare l’aumento indiscriminato di deficit e debito e di individuare un percorso per sgonfiarli, se troppo alti.
Mette nel mirino il resto, «i vincoli eccessivi » che la Germania in primis vorrebbe caricarci sopra. Fissando un doppio obiettivo da rispettare per tutta la durata del Piano di risanamento da 4 o 7 anni. Primo, un taglio del debito dell’1% all’anno per i Paesi che stanno sopra il 90% nel rapporto tra debito e Pil, come l’Italia e altri cinque nell’area euro: Belgio, Grecia, Francia, Spagna e Portogallo. Secondo, un deficit all’1,5% mentre si riduce il debito così da lasciare un cuscinetto pronto ad espandersi in caso di crisi o recessioni fino al canonico 3% del Pil. Sono questi «vincoli sovrapposti» a cui l’Italia si oppone. E quindi va bene per Giorgetti fissare «un ritmo di riduzione minima del debito e un obiettivo massimo del deficit». Ma, scandisce il ministro davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, senza «ulteriori regole stringenti » (lo ripete più volte), non compatibili «con una crescita sostenibile e duratura dell’economia ». Soprattutto se, come sembra, gli investimenti per sostenere le transizioni verde e digitale non saranno scorporati dai calcoli. Essendo spese, «le modalità del loro finanziamento non saranno neutrali ». E dunque faranno lievitare quel deficit e quel debito che il nuovo Patto vuole contenere.
«L’Italia intende ridurre il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile nel tempo», ribadisce Giorgetti. «In un assetto che protegga e incentivi gli investimenti », senza mortificare la crescita con «regole fiscali e di bilancio» considerate «come il fine, quando sono solo il mezzo». Un modo per dire che il paziente può non sopravvivere alla cura, se sproporzionata. Critiche non nuove.
Dure ora da sostenere per un Paese, come il nostro, con un livello di debito al 140% e un deficit al 4,3% previsti in un anno – il prossimo – con il Pil ottimisticamente fissato dal governo Meloni in crescita dell’1,2% contro lo 0,7% stimato da Istat, Ocse, Fmi e lo 0,8% da Bankitalia e Commissione Ue.
Il ministro detta dunque le condizioni per la firma dell’Italia. Sì alle «salvaguardie» su debito e deficit solo se «non troppo stringenti ». Un Piano di aggiustamento di 7 anni anziché 4 «senza ulteriori condizionalità», almeno nel primo ciclo di applicazione delle nuove regole, per tenere conto anche dei contestuali impegni col Pnrr. Una considerazione speciale per gli investimenti nella transizione digitale ed ecologica.
Alla domanda se ci sarà uno scambio col Mes, l’approvazione dell’Italia al piano Salva-Stati che Giorgetti chiama «Salva Banche», il ministro risponde: «Nessuno ha mai ricattato nessuno. Deciderà il Parlamento. Ma c’è una oggettiva correlazione con il nuovo Patto». A buon intenditor.