L’articolo 323 del codice penale, l’abuso d’ufficio, dunque non è più reato: una decisione che porterà una sfilza di colletti bianchi a chiedere l’eliminazione della propria condanna. Secondo Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, si tratta di “3-4 mila persone”. “È una piccola amnistia per i colletti bianchi”, ha detto. In molte procure, da Roma a Napoli a Palermo, ci sono già state riunioni per quantificare i fascicoli da archiviare: abolito il reato vanno in fumo anche gli sforzi di mesi di indagine. La firma del presidente della Repubblica però non mette al riparo l’Italia da eventuali conseguenze a livello europeo, magari con procedure d’infrazione che potrebbero arrivare da qui ai prossimi mesi. Perché oltre all’impatto della riforma su indagini e processi, c’è quello sulle direttive europee. Il portavoce della commissione europea per la Giustizia, Christian Wigand, nei mesi scorsi aveva già avvertito: “Queste modifiche proposte depenalizzerebbero importanti forme di corruzione e potrebbero avere un impatto sull’effettiva individuazione e lotta alla corruzione”. I moniti europei sono rimasti parole al vento come anche quelli dei giuristi i quali hanno sottolineato come tale decisione fosse in contrasto con la Convenzione di Merida. Adottata nel 2003, all’articolo 19 cita: “Ciascuno Stato esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un’altra persona”. E violando la Convenzione di Merida – è stata la critica di questi mesi – verrebbe violato anche l’articolo 117 della Costituzione: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. L’abuso d’ufficio è considerato reato – seppur con rilevanti differenze da Stato a Stato – in 25 Paesi su 27. Ora l’Italia è tra le nazioni che ne sono sprovviste. E a poco potrebbe servire la pezza che il governo ha provato a mettere inserendo nel decreto Carceri il reato di peculato per distrazione, con pene più basse di quelle che erano previste dall’articolo 323. “L’introduzione del peculato per distrazione è servita a evitare di incorrere in una procedura di infrazione per contrarietà alla disciplina europea – ha detto il segretario generale dell’Anm Salvatore Casciaro –. L’abrogazione dell’abuso d’ufficio lascerà il cittadino solo e indifeso di fronte alle angherie dei pubblici ufficiali”.
Nella legge di riforma della Giustizia promulgata ieri però c’è anche altro. Interviene sul reato di traffico di influenze, restringendone l’ambito di applicazione. C’è poi una stretta sulla trascrizione delle intercettazioni di terzi non indagati. I pm inoltre non potranno più fare appello contro le sentenze di assoluzione di primo grado (il provvedimento non riguarda i reati più gravi). Infine altre due novità: sarà un collegio di tre giudici (e non più uno solo) a emettere le misure cautelari. Ed è stato introdotto l’interrogatorio dell’indagato prima della misura cautelare. Che ciò accresca il pericolo di fuga evidentemente non è poi così rilevante.