Fabrizio Goria
«Senza la ratifica dell’Italia, si bloccano anche gli altri Paesi». Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale ed ex membro del Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce), fa il punto dopo l’aspro dibattito scaturito dopo le parole di Christine Lagarde sulla mancata ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Gli occhi sono puntati sull’Italia. L’approvazione, secondo Bini Smaghi, era un dossier che poteva essere chiuso da tempo. Invece, fa notare, si è scelta una «strategia incomprensibile». Che ora sta mettendo il Paese in netto isolamento nei confronti del resto dell’Europa. I malumori della Commissione sono elevati, quelli dentro l’istituzione guidata da Pierre Gramegna, spiegano gli addetti ai lavori, pure. E i segnali che arrivano, anche sul mercato obbligazionario, con il rendimento dei Btp decennali italiani ben sopra quota 4,3 per cento, non sono positivi. Specie considerando le incertezze future.
Il governo italiano critica duramente la Bce su Mes e tassi. Ha ragione?
«Più che altro è inutile. La decisione sui tassi d’interesse compete alla Bce e con una inflazione al 10% su quali basi si può criticare un aumento dal 2 al 2,5%? Quanto al Mes, la Bce ha solo chiesto al governo italiano di ratificarlo, come si era impegnato a fare da tempo».
Al di là del merito, è opportuno che un governo vada allo scontro con un’istituzione indipendente? Quanto può incidere sui mercati?
«Sul Mes lo scontro non è con la Bce ma semmai con gli altri Paesi europei, che hanno tutti ratificato il nuovo statuto, rispettando gli impegni presi, e ora aspettano che l’Italia faccia lo stesso».
L’opposizione sembra essere diventata ideologica, dimenticando il merito della vicenda: ratificare non significa utilizzare i fondi. È così? «Il nuovo Mes è stato negoziato dal governo giallo-verde Conte I. L’Italia aveva ottenuto tutto quello che aveva chiesto. Non si capisce perché i governi successivi non lo abbiano ancora ratificato. Peraltro, così facendo si toglie la possibilità agli altri Paesi di utilizzarlo, nel caso intendessero farlo».
Perché discussioni del genere ci sono solo da noi?
«Hanno ratificato il nuovo Mes Paesi come la Grecia, il Portogallo o la Spagna, che in passato ne avevano fatto uso. Il Mes non sembra far paura a nessuno, eccetto all’Italia, ma non si capisce perché. La discussione in realtà in Italia finora non c’è stata. Sostenere, come fanno alcuni, che il Mes sia uno strumento superato oppure che debba essere modificato, senza spiegare come, non mi pare sia una base di discussione».
Con il via libera della Corte costituzionale tedesca, Roma è rimasta l’unica a non aver ratificato la riforma del trattato del Mes. Come mai si è arrivati a questa “anomalia”, come ha fatto notare Lagarde? Si poteva fare prima?
«È una strategia incomprensibile. Forse qualcuno sperava che la Corte tedesca non avrebbe dato il via libera? Su quali basi? Chi ha avuto quell’idea si è infilato in un angolo e ridotto la propria sovranità decisionale. Un errore clamoroso. Ci vuole ora un po’ di intelligenza politica per spiegare che è nell’interesse dell’Italia rafforzare le istituzioni comunitarie in un momento economico difficile».
Entriamo nel merito della riforma. Partendo dal presupposto che niente è perfetto, va nella giusta direzione?
«Come detto prima, l’Italia aveva negoziato bene con il ministro Tria e aveva ottenuto ciò che voleva. Se non ratifica il risultato, rischia di perdere credibilità con gli altri governi europei. Che senso ha negoziare con l’Italia, potrebbero chiedersi, se poi non rispetta gli accordi. Non è un buon viatico per le discussioni che si apriranno nei prossimi mesi, ad esempio sulla revisione del Patto di Stabilità».
Molti osservatori italiani dicono sta per venire meno il supporto della Bce al Paese. Eppure sono tanti i programmi che, in caso di turbolenze, possono venire in aiuto…
«Non c’è motivo per cui la Bce cambi atteggiamento. Ha adottato un nuovo strumento, il TPI, che ha come obiettivo di contenere gli spread in caso di tensioni elevate. L’uso di questo strumento è tuttavia legato ad una serie di condizioni che dipendono in gran parte dall’Italia».
Giovedì Lagarde ha parlato di unione bancaria. Ma se ne discute sempre meno. È da considerarsi su un binario morto?
«I progressi sono lenti, in gran parte per l’opposizione delle autorità nazionali. Tuttavia, senza l’unione bancaria e senza un mercato dei capitali europeo, chi finanzierà la transizione ecologica, gli investimenti per la digitalizzazione, per l’indipendenza energetica? La crescita europea è a rischio senza il supporto del credito bancario».
Il rendimento dei Btp è più elevato di quelli greci. Anche questa è un’anomalia?
«Significa che gli investitori considerano il debito greco meno rischioso di quello italiano. Dovremmo chiederci perché, invece di criticare gli altri, a cominciare dalle istituzioni europee».
Condivide la linea esplicitata da Lagarde su tassi, inflazione e crescita?
«I tassi sono saliti al 2,5%, nettamente inferiori all’inflazione osservata e a quella prevista per i prossimi due anni. La politica monetaria non sembra pertanto particolarmente restrittiva. Per questo motivo, i tassi dovranno salire ancora nei prossimi mesi. In effetti, se l’inflazione non scende rapidamente, a rimetterci saranno i risparmiatori e i percettori di reddito fisso. E se le aspettative d’inflazione non si riducono, i tassi sui titoli di Stato aumenteranno ulteriormente e a pagarne il costo saranno soprattutto i contribuenti».