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La dialettica sui flussi (non esclusivamente turistici) e sui luoghi sembra arrivata a un punto dove la sintesi è lontana da esserci, e dove il rapporto tra fastidi e benefici è penalizzante per i residenti nelle loro diverse sfaccettature. Questi ultimi sono la cartina tornasole di una qualità del vivere quotidiano, elemento distintivo della capacità di attrarre reddito, perché le città – anche quelle intermedie – possono diventare i motori di un’economia che produce valore. Al contrario possono anche entrare in una spirale recessiva di lunga durata. A leggere gli articoli, ormai sempre più abbondanti nella stampa regionale e nazionale, si ha questa impressione. Ma vediamo di entrare meglio nelle categorie sopra ricordate: luogo e flusso. Per luogo spesso si intende localismo o segregazione in una logica perdente, quella che alcuni studiosi delle trasformazioni sociali chiamano “comunità del rancore”, che poi è il soggettivismo portato all’estremo. Rancore che si arrocca a difesa del “suo” territorio e dovuto, in molti casi, ai “danni” conseguenti ai cambiamenti sociali ed economici in atto ormai da tempo. Diversa cosa sarebbe se gli attori che operano a livello del luogo avessero coscienza della complessità necessaria per la produzione del valore non soltanto economico, ed entrassero in modo consapevole nella dinamica dei flussi. Un tentativo di governo con gli strumenti idonei: piattaforme aperte ad esempio, nonché il superamento dei distretti tradizionali. Le piattaforme aperte consentono di interagire con filiere sempre più lunghe e sempre più interconnesse: cultura con agroalimentare, ricerca con la socialità dei luoghi, con i ceti che per produrre devono convivere con il mercato e via discorrendo. Ma cosa sono questi flussi che investono sempre più i territori? Proviamo ad indicarne alcuni: ci sono gli immigrati, le reti internet, il digitale e le imprese locali, tutti soggetti alle trasformazioni del periodo. I flussi investono i nostri territori più di quanto si creda, in un rapporto quotidiano tra luogo e mercato nazionale ed internazionale. Ancora, a proposito dei flussi è doveroso ricordare perché ormai prevalenti in una realtà come la nostra che ha dimenticato un ricco passato non molto lontano, quelli turistici, della ricerca, del sapere, della finanza. Quest’ultima è molto presente nel territorio senese, ma di fatto si è “autonomizzata”, dunque la dimensione locale non riesce a inserirla nei processi di innovazione. La stessa Fondazione Mps si muove in una logica “vecchia” più abituata alle etichette che a indirizzare i processi verso le trasformazioni richieste dagli operatori, che pure in città (come nel territorio) avanzano domande inedite. Prevale la logica centralistica di una “economia politica” il cui esempio eccellente è il Pnrr a livello nazionale, che a Siena trova la manifestazione più evidente in un non ben definito Biotecnopolo, a scapito di una rete produttiva diffusa che in alcuni casi è in fase di riposizionamento. Un flusso dall’alto, poco efficace anche sul versante occupazionale, che non trova la società, una dialettica aperta che chiede di essere ricomposta, ma da chi? Gli organi intermedi sono investiti dai processi di cambiamento e lo stesso sindacato, fintanto che non aprirà il capitolo del lavoro invisibile, ne potrebbe restare fuori. La corretta ricomposizione potrà avvenire solo se la società rientrerà a pieno titolo nelle contraddizioni in atto. A partire da quella “comunità della cura” impegnata nella riproduzione della società, come ad esempio la scuola, la sanità, il terzo settore e via discorrendo, insieme alle comunità attive, compresa quella nebulosa legata all’Iva. Per tutto ciò non si vede che un solo attore: chi rappresenta gli interessi generali ma libero, però, dai potentati piccoli o grandi, locali e, o nazionali che frenano lo sviluppo equilibrato del territorio per interessi di parte.