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Don Grimaldi: trasformare gli istituti in veri luoghi di convivenza e redenzione. Antigone: la maggior parte dei ragazzi finisce dentro per furto, mai così tante presenze dal 2012
«Cambiare le nostre carceri affinché siano dei veri luoghi di convivenza, redenzione, riabilitazione e non “polveriere di rabbia” e, a volte, “tombe di umanità”». È l’appello che, in occasione della Quaresima, l’ispettore generale dei cappellani degli istituti di pena italiani, don Raffaele Grimaldi, rivolge ai colleghi e agli operatori spirituali che assistono i detenuti. Un motivo di riflessione per tutti. Dall’inizio dell’anno 20 reclusi si sono tolti la vita nelle “patrie galere” e quasi ogni giorno dietro le sbarre avvengono aggressioni e atti di violenza: una situazione ritenuta di “emergenza continua” che dipende soprattutto dalla carenza di personale e dal sovraffollamento. Ed ora un “allarme” si accende anche per gli istituti penali di Giustizia minorile: crescono per il secondo anno di seguito le presenze medie giornaliere degli “under 18” e dei giovani adulti ristretti nelle 17 strutture detentive che, al 15 gennaio scorso, erano in totale 496, mentre alla fine del mese scorso le tabelle del ministero della Giustizia ne registravano 516: «mai così tanti dal 2012», denuncia l’associazione Antigone nel Rapporto presentato ieri a Roma, con numeri e dati che confermano la crisi profonda in cui versa l’intero sistema carcerario del nostro Paese. Bisogna quindi rinserrare le fila
degli “uomini di buona volontà”, perché la riforma del settore, benché lontana, da sola non potrebbe risolvere il profondo disagio di chi vive dietro le sbarre. Ed per questo il senso del messaggio «di vicinanza e incoraggiamento» di don Grimaldi, intitolato “Nel deserto dei nostri istituti annunciamo la nostra liberazione”, che prende spunto dall’invito del Papa in vista della Pasqua, a «fermarsi in preghiera, per accogliere la parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito».
«I suicidi, la corruzione che serpeggia anche in questi luoghi della legalità, il forte malessere, i continui episodi di violenza – scrive l’ispettore generale dei cappellani -, ci disorientano e molte volte ci scoraggiano nell’esercitare il nostro ministero» ma, nonostante questo «noi vogliamo essere, con le nostre azioni pastorali, come Francesco ci ha detto: “Una nuova umanità, il popolo dei piccoli e degli umili” per seminare silenziosamente “la forza del bene” in tutti coloro che vivono il dramma del dolore e dell’abbandono».
Ma esiste, dunque, anche un “caso Ipm”. Il Rapporto di Antigone sugli Istituti penali minorili mette in evidenza, infatti, soprattutto, come la maggior parte dei ragazzi finiscano dentro per furto o altri reati contro il patrimonio (il 55,2%) mentre aumentano le condanne per spaccio di droga, che rappresentano il 10,2% del totale. I reati contro la persona pesano invece per il 22,7% dei minorenni reclusi. Più della metà dei detenuti è straniero e il 2,6% donna. L’istituto più affollato è il “Cesare Beccaria” di Milano, con 69 ragazzi rinchiusi al 15 gennaio, altri casi dove si registrano surplus di presenze sono Treviso, Torino, Potenza e Firenze. Questi dati «dimostrano che aver inasprito le pene non ha prodotto nessun effetto deterrente per quanto riguarda le condotte dei minorenni» commenta l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti che denuncia anche la presenza di un numero inadeguato di educatori. «Il processo di rieducazione del minorenne è fondamentale – spiega Garlatti – e proprio per questo il carcere deve rappresentare l’extrema ratio. Ci sono altre “misure contenitive” e se non se ne può fare a meno perché il reato commesso è particolarmente grave – continua -, la detenzione deve essere accompagnata da una misura rieducativa. Stiamo parlando di ragazzi in crescita: sono recuperabili, certo, ma bisogna lavorarci sopra».
Secondo Antigone, il cosiddetto “decreto Caivano” ha introdotto misure che «stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto. L’estensione delle possibilità di applicazione dell’accompagnamento a seguito di flagranza e della custodia cautelare in carcere – sottolinea l’associazione – stravolge l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988 e sta già determinando un’impennata degli ingressi negli istituti penali per i minorenni. L’aumento delle pene e la possibilità di disporre la custodia cautelare in particolare per fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti continuerà a determinare un grande afflusso di giovani in carcere».