TRIESTE
Per schiacciare il pulsante che ha dato il via alla somministrazione del farmaco che le ha tolto la vita Anna ha usato le poche forze che le erano rimaste nella mano destra, l’unico arto che ancora riusciva a muovere dopo tredici anni di convivenza con la sclerosi multipla secondariamente progressiva.
Anna, il nome è di fantasia per rispettare le ultime volontà di questa donna di 55 anni, ha fatto ricorso al suicidio assistito il 28 novembre nella sua casa di Trieste, circondata dai suoi famigliari. Questo nome di fantasia, però, entrerà nella storia della battaglia sul fine vita del Friuli Venezia Giulia e di tutta l’Italia perché, per la prima volta, l’aiuto alla morte volontaria si è svolto con l’assistenza completa del Servizio sanitario nazionale. Un’assistenza per la quale Anna ha lottato per mesi.
Nel novembre del 2022 la donna ha fatto richiesta all’Asugi, l’azienda sanitaria locale, per essere sottoposta a tutte le verifiche del caso, così come previsto dalla sentenza “Cappato/Antoniani” della Corte costituzionale che, in assenza di una legge nazionale, nel 2019 ha legalizzato la procedura di suicidio assistito se le persone che la richiedono soddisfano alcuni requisiti fondamentali (capacità di autodeterminarsi, presenza di una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute insopportabili e la dipendenza da trattamenti di assistenza vitale). Poi, in assenza di risposte, Anna ha chiesto un procedimento d’urgenza al tribunale civile di Trieste e ha presentato un esposto ai carabinieri affinché verificassero eventuali omissioni da parte del sistema sanitario. In entrambi i casi ha voluto esserci di persona. Perché qualcosa si muovesse, però, ha dovuto attendere ancora. «Il 4 luglio di quest’anno il giudice ha condannato l’azienda sanitaria ad applicare la sentenza della Consulta stabilendo che ogni giorno di ritardo oltre i 30 giorni avrebbe dovuto corrispondere ad Anna un risarcimento di 500 euro» spiega Filomena Gallo, avvocato della donna insieme a un team legale e presidente dell’associazione Luca Coscioni. «Dopo la condanna ha avviato la procedura per verificare le condizioni della paziente e ha riconosciuto che rispondeva a tutti i requisiti perché, oltre a essere completamente dipendente da terzi, di notte aveva bisogno di una maschera C-pap per respirare».
A quel punto c’è stato un altro passaggio fondamentale, ovvero il parere favorevole del comitato etico territoriale. Il tribunale, inoltre, ha stabilito che per applicare fino in fondo la decisione maturata dalla Suprema Corte dopo la vicenda di “Dj Fabo” Antoniani sarebbe stato necessario seguire Anna anche nelle fasi successive.
E così, quando la donna ha fatto richiesta, le sono stati forniti il farmaco, il macchinario per la somministrazione e un medico che, su base volontaria, ha monitorato l’intera procedura. Non era mai successo. Federico Carboni nelle Marche e la signora Gloria in Veneto, le altre due persone che hanno avuto il via libera per la morte volontaria assistita con il supporto dell’associazione Coscioni, infatti, sono stati assistiti non da personale pubblico ma da un medico di fiducia, il dottor Mario Riccio, che è stato anche anestesista di Piergiorgio Welby. Mentre il veneto Stefano Gheller e il signor Antonio, anche lui marchigiano, dopo aver ricevuto l’ok dai rispettivi comitati etici, possono ora scegliere se e quando confermare le loro volontà. L’associazione Coscioni fa anche notare come una situazione analoga a quella di Anna, quella di Sibilla Barbieri, nel Lazio, ha avuto un esito diverso costringendo la donna ad un viaggio della morte in Svizzera nonostante fosse anche lei dipendente da trattamenti vitali.
«Il giorno prima del suicidio assistito ho visto Anna durante una videochiamata» racconta l’avvocato Gallo. «Ci ha lasciato un messaggio con il filo di voce che le era rimasto, perché dopo esser rimasta completamente paralizzata stava perdendo anche la capacità di parlare. Fosse passato altro tempo non avrebbe più avuto nemmeno quello e nemmeno la forza di premere il pulsante. Oggi portiamo avanti le proposte di legge regionali perché le verifiche richieste dai malati devono avere tempi di risposta certi. Non è possibile dover passare da un tribunale, c’è una sentenza della Consulta e va rispettata. Anna, pur non avendo escluso di rivolgersi a strutture straniere, è riuscita a morire a casa sua e con i suoi cari con grande determinazione e facendo uno sforzo incredibile» conclude. Il testamento di questa donna, qualunque sia stato il suo vero nome, ne è una prova ulteriore: «Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere».