Tom Waits – “Jersey Girl”
3 Settembre 2023Le gouvernement promet une aide financière aux Restos du cœur
4 Settembre 2023In cammino Da San Quirico d’Orcia e ritorno lungo l’anello reso famoso dal film di Ridley Scott Attraverso la strada bianca che serpeggia tra i campi di grano e i cipressi della valle del cinema
di Giulia Maestrini
Chi di noi non ha desiderato, almeno una volta, di essere il protagonista di quel film tanto amato? Abitare gli stessi luoghi, respirare le atmosfere, camminare sulle stesse strade che ci hanno entusiasmato attraverso le pellicole o le serie tv? Entrare, letteralmente, dentro l’inquadratura, essere parte dell’immagine che abbiamo sempre guardato dall’esterno?
È per questo potere ancestrale e immaginifico della narrazione che vuole farsi realtà che il cine-turismo sta vivendo negli anni Duemila un vero e proprio boom. Lo sanno bene i luoghi che hanno ospitato le avventure inglesi di Harry Potter o la Nuova Zelanda de Il Signore degli Anelli , la New York di Sex & the City , ma per restare in Italia anche la Napoli de L’amica geniale o la Sicilia di Montalbano.
La Valdorcia non è da meno. Scelta nei decenni da autori e registi, è diventata man mano sempre più protagonista, anziché semplice sfondo. Ha assorbito l’aura mitica o romantica o sorprendente di quelle storie e l’ha moltiplicata all’infinito, raccogliendo milioni di viaggiatori desiderosi di immergersi in quel panorama. Per esempio, tra quei «Campi elisi» immortalati da Ridley Scott nel suo Il Gladiatore , una strada bianca che serpeggia tra i campi di grano, i cipressi a puntellare ogni curva, mentre una mano accarezza le spighe: è Massimo Decimo Meridio con il volto sofferente di Russell Crowe che «torna a casa». Siamo in Valdorcia, appunto: tra Pienza e San Quirico, nel cuore di un territorio che è patrimonio Unesco dal 2004, in uno scenario di bellezza commovente.
Questo trekking — che potremmo chiamare proprio «l’anello del Gladiatore» — ripercorre in 16 chilometri i luoghi simbolo del film ma amplia l’orizzonte, regalando un’esperienza immersiva che ci fa assaporare la Valdorcia con lentezza e in silenzio.
«Camminare in questa zona significa essere dentro la cartolina che hai nel tuo immaginario — racconta Valentina Pierguidi, guida ambientale — e spesso è anche meglio di come lo immaginavi. Questo itinerario è come un riassunto della Valdorcia: si vede l’intervento dell’uomo, la trasformazione di un territorio che era avverso, le colline lavorate e i cipressi che non erano autoctoni. I calanchi e le biancane sono stati modellati: qui gli agricoltori sono gli architetti del paesaggio».
Il punto di partenza è a San Quirico, uscendo dal paese verso sud-est: è un percorso per lo più su strade bianche, tra i campi coltivati e i casolari ristrutturati, olivi, cespugli di ginestre e con lo sguardo che può spingersi fino al Monte Amiata, la rocca di Radicofani in lontananza e Pienza che, già dopo pochi chilometri, compare sul poggio di fronte a segnare la direzione.
La scelta di affrontare il percorso in questo insolito senso antiorario ci porta alla famosa scena dei «Campi elisi» dal basso: la strada che compare nei sogni del Gladiatore, dunque, è in salita… ed è una bella salita, un chilometro e mezzo con 150 metri di dislivello ma vale davvero la pena. L’arrivo a Pienza è segnato dalla Pieve di Corsignano: un luogo di meditazione e quiete che pare immerso in un altro tempo.
Prima di riprendere la strada, Pienza vale sempre una visita: voluta da Pio II come «la città ideale», anch’essa è stata set per moltissimi film, dal pluripremiato Il paziente inglese di Anthony Minghella al Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. Certo, l’assedio dell’overtourism non aiuta: bisogna farsi spazio tra le comitive troppo chiassose e i negozi nati a loro servizio, ma il fascino di questo luogo non è in discussione.
Fino al 5 novembre, tra l’altro, il Conservatorio San Carlo Borromeo ospita una mostra voluta dal Comune di Pienza in collaborazione con Fondazione Musei Senesi che è un piccolo gioiello. Si intitola Dario Neri, Mario Luzi. Il paesaggio stato d’animo e mette a confronto le opere realizzate da Neri tra il 1920 e il 1956 con i versi di Luzi: a unirli, appunto, la passione per la Valdorcia che non è stata soltanto fonte di ispirazione, ma strumento di interpretazione e proiezione del proprio mondo interiore.
Un paesaggio stato d’animo appunto, che non è cartolina ma identità vera, anima che esiste e resiste, che combatte per non spegnersi nell’omologazione. «Qualche anno fa — nota ancora Pierguidi — la Valdorcia era in un equilibrio perfetto tra la valorizzazione del territorio dal punto di vista turistico e la sua conservazione. Ma l’equilibrio perfetto dura poco: dovremmo fare scelte controcorrente, come quando fu creato il Parco della Valdorcia, nel 1999, che ci ha permesso di preservare il territorio, consegnandoci quello che abbiamo oggi. Non possiamo allinearci alle esigenze di qualsiasi altro luogo: rischieremmo di perdere la nostra unicità».
È tempo di tornare indietro. Dalla Pieve di Corsignano inizia il percorso a ritroso, tenendo stavolta la destra su una strada bianca e morbida che ondeggia con l’andare delle colline. L’altro caposaldo di questo tracciato è poco lontano: la Cappella di Vitaleta, preziosa, intima cappella romanica incastonata tra due file di cipressi. Non è bastato chiudere alle auto l’ultimo tratto: la sbarra è comunque troppo vicina perché possa riuscire a custodire il silenzio di cui questo luogo avrebbe bisogno. «Prende il nome da una statua della Vergine, in terracotta invetriata, realizzata da Andrea della Robbia che oggi, in realtà, è conservata a San Quirico», spiega Pierguidi.
Pare impossibile crederlo, ma quando la terracotta fu definitivamente trasferita, la cappella fu abbandonata e poi demolita: quella che vediamo oggi è il frutto di un restauro e di una riprogettazione completa effettuata nell’Ottocento da Giuseppe Partini. Il suo fascino quieto (quando si ha la fortuna di essere in pochi) è immutato.
Lasciata alle spalle Vitaleta, il nostro trekking torna verso San Quirico ancora su strada bianca, con un discreto saliscendi… e un altro set. All’incrocio con la provinciale, infatti, basta voltarsi a destra per scorgere il famoso doppio viale dei cipressi che porta al grande cancello e alla «casa del Gladiatore»: è, in realtà, l’azienda agricola di Poggio Manzuoli dove fu girata la scena straziante dell’uccisione della famiglia del protagonista.
«È paradossale — chiosa Pierguidi — ma il Gladiatore è tornato negli ultimi anni, è molto più di moda ora di quando uscì il film: è una sorta di effetto Instagram».
https://corrierefiorentino.corriere.it/