Si capirà nelle prossime ore se il presidente dell’app Telegram, il cittadino franco-russo Pavel Durov, ha deciso di consegnarsi alle autorità francesi – affrontando il sistema giudiziario francese in nome della sua battaglia per l’inviolabilità delle comunicazioni private da parte dei più potenti governi di mezzo mondo – o se c’è dell’altro. Dell’altro che, stando a contatti informali che abbiamo avuto la scorsa notte, al momento nemmeno il fratello Nikolay è in grado di interpretare. Tanto più che al momento di andare in stampa la società che gestisce Telegram con server a Dubai, diventata molto di più di un’applicazione di messaggistica, si è resa un fantasma. Nessun numero di telefono attivo, nessun indirizzo mail a cui qualcuno risponda, nessun contatto pubblico con il mondo esterno. Il microcosmo messo in piedi da Telegram è un mondo molto diverso da quello di WhatsApp.

PERCHÉ PIÙ che un’app di messaggistica, Telegram è nel tempo diventato – oltre che una macchina da soldi – un social network a software libero disponibile su qualsiasi piattaforma: Android, Linux, iOS, MacOS, Windows. Le sue funzionalità, alcune a pagamento (ecco il business), sono molteplici e si adattano a diverse tipologie di comunicazione. Ci sono le chat private, quelle segrete, con i messaggi a scomparsa a tempo determinato scelto dall’utente. E tecnologia «end to end»: il messaggio nemmeno transita sui loro server a Dubai, ma viaggia da dispositivo a dispositivo. Da smarthphone a smarthphone, da computer a computer, in maniera criptata e con un timer di autodistruzione impostato dall’utente: quando il destinatario ha letto il messaggio, nel tempo prestabilito, questo si distrugge. Per sempre. Via, puff, ciao.

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I segreti di Durov. Parigi prova a violare la fortezza TelegramCi sono poi i gruppi che accolgono fino a 200 partecipanti, è bene sapere, non criptati. All’interno le persone possono scambiarsi idee, pensieri, portare avanti collettivi politici, mettere a punto progetti comuni, formare gruppi di lavoro, far restare in contatto amici, colleghi, familiari, creando uno spazio di comunicazione immediato e diretto. Apprezzato e difeso – al pari di Signal, sotto certi aspetti nelle comunicazioni e nella messaggistica ancora più sicuro di Telegram – da smanettoni e persone attente alla privacy e alla sicurezza.

Ci sono poi le chiamate vocali e quelle video, la possibilità di condividere con altri fino a 2GB di documenti, foto, file audio o video in alta definizione. Archiviandoli con spazio illimitato. Tanto che molti usano Telegram anche come cloud personale e che in queste ore, non capendo bene cosa stia succedendo a Parigi, stanno mettendo altrove i dati che avevano finora affidato ai fratelli Durov. Ovvero a Pavel, la mente: cittadino franco-russo, con una parentesi universitaria a Torino, anche politica. E a suo fratello Nikolay: l’informatico, il topo da laboratorio che grazie alla sua squadra sta rendendo a livello tecnico possibile tutto questo.

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La frontiera politica dello smartphoneTANTE DI QUESTE funzioni nel tempo sono poi state “rubate” e adattate, anche dai servizi concorrenti. A partire dal più diffuso al mondo e meno sicuro in termini di privacy WhatsApp di Mark Zuckerberg: quasi tre miliardi di utenti (Telegram è a quota 900 milioni) che, a differenza di Telegram, per portare avanti il suo business come meglio crede, ha deciso a differenza dei fratelli Durov di dare ai governi le chiavi di accesso alla sua crittografia.

E qui arriviamo al punto sostanziale, dell’accusa. Un sistema così costruito, oltre a essere di vitale importanza per giornalisti, professionisti col segreto professionale da difendere da occhi e orecchie indiscrete, da attivisti politici e dissidenti, viene ovviamente utilizzato anche da gruppi criminali, narcomafie, pedofili e da tutto quel mondo che dal grigio finisce nel nero più oscuro.
Ma per i fratelli Durov, che in passato sono riusciti ad avere la meglio nel difendere il loro ideale di inviolabilità delle comunicazioni private davanti allo zar russo Vladimir Putin e all’intelligence statunitense interna di più alto livello (la National Security Agency, per cui lavorava Edward Snodwden), ora si vedrà come andrà davanti alle autorità francesi. Paesedi cui Pavel è cittadino, avendo passaporto anche francese.

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