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22 Giugno 2024Lo studio di Ires-Cgil: in 20 anni perse 48 posizioni in Europa. «È l’effetto della terziarizzazione debole»
Silvia Ognibene
Aumenta la rendita, cresce il lavoro povero. La Toscana arretra in modo molto preoccupante: negli ultimi 20 anni ha perso ben 48 posizioni nella graduatoria delle regioni italiane stilata in base al ranking europeo del Pil procapite, precipitando al 99 esimo posto dal 51 esimo. Peggio ha fatto solo l’Umbria. Lo riferisce Ires, l’Istituto di ricerche economiche e sociali della Cgil in un rapporto presentato ieri in occasione del cinquantesimo anniversario del sindacato. Ires mette l’asticella del reddito annuale lordo a 15 mila euro: al di sotto si può dire che si è poveri pur lavorando. In Toscana si trova al di sotto dell’asticella il 58% dei dipendenti. Abbiamo una platea di 650 mila persone che sono povere anche se lavorano. Un dato drammatico.
Scendendo nel dettaglio dell’elaborazione dei dati Inps emerge che meno del 40% dei lavoratori toscani ha un contratto full time a tempo indeterminato, mentre 125 mila persone (l’11%) «sommano tutti gli aspetti della precarietà lavorativa come tempo determinato, part-time e impiego discontinuo e non arrivano a 7 mila euro di salario lordo annuale». Poi ci sono quasi 380 mila lavoratori che non arrivano a 11 mila euro di salario lordo annuale: sono il 34% del totale.
«Questo dato è indice di quanto la terziarizzazione debole basata su turismo e commercio abbassi complessivamente il monte salari, a fronte del peso del capitalismo delle piattaforme che soppianta al ribasso le forme più strutturate, seppur deboli dal punto di vista del lavoro, della ricezione turistica e della somministrazione di cibo e bevande — dice il presidente di Ires, Maurizio Brotini — Un processo, quello della terziarizzazione debole e della perdita di posti di lavoro qualificati derivante anche dallo spostamento fuori regione dei centri decisionali o di alta qualifica di diversi settori, valga per il sistema bancario e assicurativo come per il conglomerato rappresentato da Ferrovie nei vari assetti, che si somma alla continua erosione dell’apparato manifatturiero, sia esso industria, sistemi distrettuali ed artigianato».
Perdere la manifattura e la «testa» delle grandi aziende di servizi avanzati, puntare sulla rendita e sul turismo, genera povertà. Inoltre, secondo l’Ires, «i rapporti dell’Irpet, le stesse note e rapporti semestrali della Banca d’Italia per la realtà regionale e il conseguente dibattito della politica locale e regionale spesso sottostimano il declino e la polarizzazione sociale e territoriale che a nostro avviso caratterizzano la Toscana». Stiamo peggio di quanto ci raccontiamo.
La Toscana conserva tuttavia ancora oggi un posizionamento molto buono se si guardano indicatori diversi dal reddito da lavoro. Allargando il campo ai criteri di benessere (che prendono in considerazione ad esempio la salute, le relazioni sociali, la sicurezza, il paesaggio e l’ambiente, la qualità dei servizi) la Toscana risale nella classifica e mostra alcune punte elevatissime: Firenze, ad esempio, ha un indicatore di benessere di oltre 72 punti percentuali su 100. Secondo Ires questo potrebbe dipendere da un «effetto di trascinamento» dovuto alla «presenza passata di un sistema industriale e manifatturiero più robusto» e più capace di redistribuir e la ricchezza attraverso i salari. Tant’è che in Toscana la media degli importi dei redditi da pensione è superiore alla media degli importi dei salari da lavoro dipendente. In sintesi, stanno ancora bene alcuni pensionati e chi può contare sulla rendita. I lavoratori invece non stanno tanto bene e ne sono anche consapevoli: un’altra ricerca condotta per la Cgil da Osservatorio Futura e Fondazione Di Vittorio dice che alla domanda sulla soddisfazione rispetto al proprio lavoro il 31% del campione intervistato si è detto soddisfatto, il 69% non soddisfatto. Ed è insoddisfatta soprattutto la fascia di età inferiore ai 35 anni.
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