Chi c’è dietro ai dossier: centinaia di ricerche senza mai fare rapporto. E ora è caccia ai mandanti
4 Agosto 2023Commodores – Nightshift
4 Agosto 2023Strumentalizziamo crisi del mercato e produzione in calo per giustificare l’immobilismo. Per salvare il pianeta bisogna smettere di estrarre il 90% del carbone e il 60% di gas e petrolio
Mentre aspettiamo con trepidazione di poter finalmente sottostimare il riscaldamento atmosferico globale alla prima perturbazione agostana (in arrivo oggi), continuando a confondere il tempo meteorologico con il clima, e non capendo che si tratta di un’altra manifestazione estrema dello stesso fenomeno, ecco che si alza l’ennesima cortina fumogena a occultare le proporzioni della crisi climatica che stiamo vivendo, quella della posizione apparentemente «mediana» fra catastrofisti e negazionisti. Sì, il clima starà pure cambiando, e sarà pure colpa delle nostre attività produttive, ma, per carità, mica possiamo agire in fretta, che ci rimette l’economia. E mica dobbiamo alzare i toni, che se si paventa la fine del mondo, allora sarà più difficile scuotere le coscienze e crescerà l’ecoansia. Come se aver mantenuto un profilo fin troppo basso finora abbia poi permesso di ottenere qualche successo.
Quindi, in tutta tranquillità, con la dovuta calma, facciamo qualche piccola riforma ecologica ogni tanto, vedrai che non toccherà a noi sostenere il maggior peso e pagare, magari, un prezzo politico. E se gli scienziati dicono che bisogna agire subito, perché l’inerzia della macchina climatica è tale che i risultati di un’eventuale azzeramento totale delle emissioni li potremmo apprezzare solo dopo mezzo secolo (dunque meglio spicciarsi), noi siamo lì a ridurre la questione fisica a un problema dialettico.
Cioè, da un lato si riconosce la gravità della situazione, però, dall’altro, si rimanda ogni provvedimento a un futuro di là da definire. Sempre domani, comunque: e che vogliamo dare retta a quegli esaltati di Ultima Generazione, al Papa o alla ragazza con le treccine? Si rimane, cioè, nel mezzo, e guai all’estremismo ambientalista, che il problema sembra essere quello dei modi di chi denuncia esasperato e non di chi fa nulla. Dimenticando che gli specialisti affermano che bisogna azzerare le emissioni climalteranti da subito, lasciando sottoterra il 90% del carbone e il 60% del gas e del petrolio. Oppure lasciando alla iniziativa personale quanto dovrebbe essere fatto collettivamente. Ma se non interviene un accordo significativo a livello internazionale che compensi chi non potrà svilupparsi alla stessa nostra maniera e redistribuisca ricchezza, è chiaro che non ne usciremo. Questa peraltro la ragione per cui quegli accordi falliscono: nessuno vuole una regolamentazione al libero mercato, che non potrà essere mai la soluzione, visto che è parte del problema. A cosa servirà massimizzare i profitti in un pianeta inospitale in cui il benessere è compromesso e le popolazioni costrette a migrare in massa, è difficile da comprendere.
Le uniche volte che i sapiens si sono messi insieme per risolvere problemi simili, lo hanno fatto senza infingimenti e con accordi coatti, obbligati, non su base volontaria e senza controlli, come l’ultimo sul clima di Parigi. Appena si capì che il Ddt risolveva solo temporaneamente il problema delle malattie infettive portate dalle zanzare e che queste ultime se ne fregavano beatamente dopo la seconda irrorazione, la micidiale sostanza che stava compromettendo gli ecosistemi fu bandita senza se e senza ma. E quando fu la volta di bandire i clorofluorocarburi (Cfc), i sapiens lo fecero con determinazione, grazie alla scienza (Nobel per la chimica del 1995 agli scopritori del meccanismo di lacerazione dello strato di ozono che ci salvaguarda dalle radiazioni solari maligne), nonostante ci siano voluti più di dieci anni. E oggi le lacerazioni si stanno ricucendo, nonostante le proteste dei gruppi economici si fossero levate altissime. Chi ritornerebbe indietro, oggi, su quelle strade? A cosa serve il sistema economico che abbiamo messo in piedi, se compromette benessere e vite?
In questa crisi o catastrofe climatica (sarà bene cominciare a chiamarla con il nome vero, altro che cambiamento climatico, che quasi suona bene), latita anche il senso del ridicolo: c’è chi si diverte a fare il fenomeno questionando su dove sono posizionate le centraline di misurazione delle temperature atmosferiche, sorprendendo migliaia di specialisti che evidentemente non ci avevano pensato. E c’è pure chi sostiene che non c’è da preoccuparsi troppo, perché dopo l’estate calda verrà l’inverno più fresco, parafrasando Chance il Giardiniere di ashbyana memoria e ottenendo lo stesso sorpreso ma rassicurante consenso.
Quello che non si vuole comprendere è che ormai l’agenda non la dettiamo noi, ma la crisi climatica, marcando in rosso sempre più giorni e sorpassando i punti di non ritorno a un ritmo infernale, segnato da ondate di calore, inondazioni, tempeste, incendi e chicchi di grandine grossi come meloni. Esattamente come con Covid-19, quando ci siamo illusi di poter dettare noi le condizioni a Sars-Cov-2, la cui «famiglia» è padrona di questo pianeta da quasi 4 miliardi di anni, così con la crisi climatica ci illudiamo di dire che smetteremo di inquinare dal 2050, ma, mi raccomando, facendo tutto nel 2049. Nell’illusione che si possa continuare a lucrare profitto su ecosistemi esausti. Ma non si fa alcuna economia se la biosfera non è sana e se la natura non viene restaurata, come previsto dalla Legge Europea appena approvata e osteggiata, fra gli altri, anche dal nostro Governo.
Aprono il cuore le lacrime del ministro dell’Ambiente di fronte alla ragazza che teme per il suo futuro. Farebbe piacere, però, che si aprisse anche la mente e la si facesse finita con l’ambiguità di chi si mostra empatico in pubblico e poi non prende provvedimenti. Come diceva uno slogan d’antan, proviamo a essere veramente realisti e pretendiamo l’impossibile: una società più giusta e più naturale senza un altro grammo di carbonio in più. Nessun ulteriore ritardo è giustificato.