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22 Giugno 2024Il commento
di Giusi Fasano
Oppure chiedetelo a Sebastiano Di Domenico, Sicilia. Una trave si è spostata dal braccio meccanico ed è rotolata sulle sue gambe: 100% di invalidità e il futuro su una sedia a rotelle. Ma saprebbe spiegarlo bene anche Anna Maria Nardi, da Forlì. L’impianto al quale stava lavorando tratteneva fogli di cartone e per andare a prenderli lei — che non aveva mai fatto nemmeno un’ora di formazione — è rimasta preda di una macchina che le ha rotto e scuoiato un braccio fino al polso. Chiedete a loro (fra i tanti) che cosa ha fatto a brandelli le loro vite mentre lavoravano. Saprete che, qualunque cosa sia stata, si poteva evitare. Sempre. A volte sarebbe bastato seguire la regoletta saltata per velocizzare i tempi di produzione, altre volte a segnare la sorte è stato un mancato controllo, una manomissione o magari la formazione zero come per Anna Maria Nardi. Accendiamo i riflettori al massimo sulle stragi del lavoro, com’è giusto che sia. Ci indigniamo per l’omicido — perché di questo si tratta — del lavoratore indiano a Latina, un caso di barbarie e criminalità prima ancora che di caporalato e i diritti zero. Ci colpiscono i volti e le storie di giovani e giovanissimi caduti in ogni dove sul fronte del lavoro, un elenco senza fine al quale si aggiungono nelle ultime 48 ore il diciottenne del Lodigiano e il 35enne in provincia di Mantova. Nei primi quattro mesi di questo 2024 la conta dei morti è 268 (4 in più rispetto al 2023) ed è difficile che la cronaca non ne prenda nota. Sfugge invece, spesso, il dato mostruoso dei feriti: dal 1 gennaio al 30 aprile le denunce di infortunio sul lavoro sono state 193.979 (+ 3,6% rispetto alle 187.324 dei primi quattro mesi del 2023). Per capirci: siamo a più di un incidente al minuto (1,12, per la precisione), una tragedia civile. Ogni giorno più di 1600 lavoratori, e le loro famiglie, affrontano il dramma di una lesione che raramente è cosa di poco conto. È più frequente che sia grave o gravissima, come l’amputazione di un arto, la paralisi o un’ustione irreparabile. Ma a quel numero già esagerato e inaccettabile — 1600 — va aggiunto quel che non si vede perché semplicemente non emerge. E cioè quello che non sta nei numeri ufficiali dell’Inail perché non riguarda lavoratori assicurati con l’Istituto. Per esempio le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, ma anche i lavoratori autonomi delle partite iva che in teoria potrebbero iscriversi all’Inail ma raramente lo fanno. Baristi, pizzaioli, parrucchieri, artigiani, piccole imprese… Per molti di loro, specie nei casi di incidenti meno gravi, l’infortunio diventa un dato semplicemente inesistente e controllare tutto è impossibile. Resti a casa in malattia e finisce lì. Tanto chi vuoi che si accorga? Ecco, appunto…