La spesa pubblica
Carlo Cottarelli
francesca schianchi
Carlo Cottarelli, economista, oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dopo una brevissima esperienza da senatore del Pd, dieci anni fa ha vestito gli scomodi panni di Mister spending review. Nominato commissario straordinario dall’allora premier Enrico Letta, per un anno si è occupato di monitorare la spesa pubblica e avanzare proposte per razionalizzarla.
Ora il ministro dell’Economia Giorgetti vuole recuperare tre miliardi dai ministeri. O tagliano loro, o farà lui il cattivo, ha detto. Ha consigli da dargli su come procedere?
«A pochi giorni dalla presentazione della legge di Bilancio, non c’è il tempo per una spending review».
E quindi cosa può fare?
«Non c’è molta scelta. All’ultimo momento non ci si può che ridurre a tagli lineari».
Tutti taglino una stessa percentuale e amen.
«La spesa pubblica è composta sostanzialmente da tre voci: gli stipendi, l’acquisto di beni e servizi, e i soldi che lo Stato trasferisce a famiglie e imprese a vario titolo. Ora, la spesa per stipendi non la puoi manovrare, anzi dovrai aggiungere soldi per i rinnovi salariali, considerato che il livello dei salari pubblici è al minimo storico rispetto a quelli privati».
Quella per l’acquisto di beni e servizi?
«Senza una riforma strutturale per comprare a prezzi più bassi, l’unica cosa che puoi fare è comprare meno. Ma, anche qui, senza riforme strutturali, rischi di intaccare i servizi ai cittadini. Così finisce che hai un solo margine».
Sui trasferimenti dello Stato a famiglie e imprese?
«Esatto. Lì non c’è un problema tecnico, ma c’è un problema politico enorme».
Perché devi decidere cosa e a chi tagliare.
«E siccome dentro ogni ministero la spesa pubblica è sempre composta da quelle tre voci, dire che taglierai a loro è solo un modo per scaricare il problema a qualcun altro. Così come dirlo a Comuni e Regioni».
Peraltro, non c’è il rischio che Comuni e Regioni, se subiscono tagli, siano poi costretti ad aumentare le tasse comunali e regionali per rientrare coi bilanci?
«Ma certo, nella misura in cui possono farli! Ma vede, così a livello centrale puoi sempre dire che hai tagliato le tasse ai cittadini, e scaricare sugli enti locali il rialzo. È un gioco che è stato fatto spesso in passato».
La cifra di tre miliardi da recuperare dai ministeri è poca o tanta?
«Poca rispetto a 1.000 miliardi di euro di spesa pubblica. Ma, per raggiungerla, senza aver fatto riforme strutturali, costringi i ministeri a erogare meno servizi. Faccio un esempio: il ministero dell’Interno potrebbe decidere di tagliare il carburante delle volanti. E non perché si è deciso di evitare sovrapposizioni negli interventi di Polizia e Carabinieri, ché quella sarebbe una razionalizzazione, ma per tagliare i costi».
Scusi professor Cottarelli, ma com’è possibile che sia così difficile fare revisione della spesa dello Stato? In fondo, in micro, è quello che ogni famiglia fa per far quadrare il proprio bilancio…
«Ma perché, in una famiglia, chi subisce il costo del taglio corrisponde a chi beneficia del risparmio. In finanza pubblica non è così: si colpisce un piccolo gruppo, e i benefici vanno a tutti. Ma il beneficio per i singoli è spesso così piccolo che chi ne gode non gli dà molto peso. Mentre la minoranza che ha subito un taglio va in piazza, protesta, è solitamente molto rumorosa. Una revisione della spesa senza colpire nessuno è impossibile, puoi solo cercare di minimizzare l’impatto».
Ai suoi tempi, parlò anche di una resistenza da parte della burocrazia.
«C’è anche quella, certo. Ma il punto è: c’è un partito disponibile a presentarsi alle elezioni dicendo “noi taglieremo le tasse, ma voi sosteneteci in un taglio di spesa di 50 miliardi?”. Gli italiani lo voterebbero? La verità è che anche l’opinione pubblica non è pronta».
Un altro refrain di ogni governo al momento della manovra è il recupero dell’evasione fiscale…
«Dal 2017 al 2021 è stata certificata una riduzione dell’evasione di circa 25 miliardi. Bisogna andare avanti così, ma l’ennesimo condono del governo non sono sicuro sia un buon segnale».
Nel governo litigano sull’ipotesi di una tassa sugli extraprofitti: secondo lei sarebbe utile?
«Secondo me è un tipo di operazione che si può fare solo in situazione di emergenza. E ora non siamo in emergenza».
Con l’entrata in vigore del nuovo Patto di Stabilità europeo e la necessità di rientrare dal debito, dobbiamo prepararci a una nuova austerità?
«Il patto prevede un aggiustamento dei conti, ma graduale: austerità mi sembra una parola grossa. Oggi abbiamo un deficit del 3,8 per cento; nel 2019 era all’1,6%. È evidente che dobbiamo tornare a quel livello».
Dalle anticipazioni, come le sembra la manovra del governo?
«Aspetto di leggere il testo definitivo».